L’egittologo Christian Leblanc presentò al VI Congresso Internazionale di Egittologia, svolto a Torino nel 1991, una serie di dettagliati resoconti riguardanti sia gli scavi che le ultime scoperte archeologiche avvenute a Tebe-Ovest, in Egitto, negli uadi annessi alla Valle delle Regine. Stranamente però, quando si mise a parlare del Vallone del principe Ahmes, non si limitò ad esporre i fatti recenti, ma dedicò del tempo a far conoscere lo stato delle sue ricerche personali riguardo ad una scoperta fatta parecchio tempo addietro, nell’ormai lontano 1903, dagli archeologi italiani Ernesto Schiaparelli (Direttore di allora del Museo Egizio di Torino) e Francesco Ballerini. Negli Atti del Congresso, pubblicati a Torino nel 1993, Leblanc cita, nelle note in calce alla sua relazione, sia le annotazioni di Ballerini (Notizia Sommaria, 1903, pp.32-33) che il rapporto di Schiaparelli (Relazione, I, 1924, pp.22-24) a proposito del ritrovamento, da parte degli italiani, d’una scatola di legno, coperta da cumuli di detriti, su uno dei fianchi del Vallone del principe Ahmes, durante la campagna di scavi del 1093. I resoconti di Schiaparelli e Ballerini riferivano anche che, all’interno di questo contenitore, era stato rinvenuto il corpicino d’un neonato, probabilmente nato morto, avvolto con molta cura in bende funerarie di lino. Leblanc, che deve aver letto con attenzione i rapporti della Missione italiana del 1903, non ha alcun dubbio sul fatto che la deposizione nella Valle di quella cassa di legno, con il suo contenuto, sia avvenuta nel periodo della XVIII dinastia egizia, cui risale peraltro la prima occupazione funeraria del Vallone. L’egittologo francese riferì ancora, nella sua relazione congressuale, che la cassa fu “apparentemente” spedita a Torino ma che Schiaparelli e Ballerini non solo non citarono il feto tra i reperti imballati per la spedizione, ma neanche spiegarono che fine avesse fatto. Ora a riguardo di questa mancata menzione nei rapporti, una spiegazione soddisfacente sulle abitudini di Schiaparelli ce la dà l’egittologo italiano Domenico Davide che, nello stesso Congresso di Torino del 1991 (op. cit., II, p.87 sgg.) ebbe a dire: “Dai lavori dello Schiaparelli non abbiamo alcuna precisazione. Mi diceva il Professore (il Senatore Giovanni Marro, N.d.A.) che lo Schiaparelli, preciso nello scavo, scrupoloso nella numerazione dei singoli reperti, non teneva precisamente un giornale di scavo - o quanto meno esso non è stato ancora trovato - ma affidava alla sua memoria i particolari.” Il dott. Davide concludeva poi che, a causa di ciò, qualsiasi ricostruzione dei fatti “sarà lunga e difficile”. Certo, se Schiaparelli avesse deciso di correre il rischio della spedizione, se il feto fosse arrivato integro a Torino e se, una volta arrivato, avesse continuato a conservare la sua integrità, allora esso farebbe oggi bella mostra di sé nella Collezione osteologica egiziana predinastica e dinastica « Giovanni Marro », conservata al museo di Antropologia ed Etnografia dell’Università di Torino. Tra i documenti fotografici presentati da Leblanc a Torino nel 1991 vi è anche una radiografia del feto eseguita, come disse lui stesso, da André Macke e Christiane Macke-Ribet, medici antropologi della Missione del C.N.R.S.. In effetti André Macke pubblicò, negli anni successivi, un libro dal titolo Ta Set Nefrou V, Une Necropole De Thebes Ouest et Son Histoire, ma un’anticipazione dei contenuti di questo libro il medico la fece proprio dal palco del Congresso di Torino, quando toccò a lui prendere la parola. Stranamente però, il dott. Macke non disse nulla, in quella relazione, al riguardo del feto di cui aveva già parlato poco prima il suo Direttore. Tocca dunque a chi scrive adesso fare una seppur sommaria descrizione delle anomale anatomiche riscontrate. Il feto mostra una scatola cranica di dimensioni notevolmente più grandi rispetto a quelle che ha normalmente un bambino appena nato. Quando si verificano, nell’ambito umano, deformità di questo genere allora si parla in generale di craniostenosi. La deformità della scatola cranica è resa ancor più evidente dalla radiografia laterale eseguita da Macke. Questa infatti mette in evidenza la troncatura netta della parte posteriore del cranio, causata dalla sua asportazione o distruzione. Se noi ricomponiamo le linee spezzate, otteniamo qualcosa di veramente fuori dalla norma. Ora se si tratta d’una forma di craniostenosi devono essere implicate necessariamente anche altre conseguenze anatomo-patologiche. In questo tipo di malformazioni infatti, a causa della chiusura prematura delle suture craniche, i forami ottici, al fondo delle camere orbitali, risultano distorti e ristretti, cosiché il nervo ottico può, a seconda della gravità e del grado di deformazione, subire un danno che va dalla semplice compressione alla strozzatura, con conseguenze che vanno dal deficit visivo alla cecità. L’esame radiografico FRONTALE del cranio, in casi di questo genere, è dimostrativo, perché mette in evidenza la distorsione ed il restringimento dei fori ottici, rendendo possibile così una diagnosi di craniostenosi. Questa radiografia frontale il dott. Macke non l’ha mai presentata. Per fortuna è possibile, attraverso la sola osservazione macroscopica, ottenere altre verifiche per la corretta formulazione d’una diagnosi. Tra le conseguenze delle varie forme di craniostenosi, infatti, c’è anche l’anomala configurazione delle orbite oculari, che risultano piccole e poco profonde, tanto da provocare esoftalmo, strabismo e, nella maggioranza dei casi, atrofia del globo oculare. Ebbene, nel caso del feto della Valle delle Regine è vero l’esatto contrario: le orbite sono molto grandi e molto profonde. Allora delle due l’una: o c’è la craniostenosi o non c’è. La scatola cranica è enorme e tuttavia anche le orbite oculari risultano grandi e profonde. Esiste un solo modo per uscire da questo vicolo cieco, ed è quello d’ammettere che in quella creatura tutto era normale, che cioè non c’era nessuna patologia ma che quella era la normalità per un essere ben diverso da noi. Quello scheletro cioè non appartiene ad un essere della razza umana, per lo meno di quelle che noi attualmente conosciamo. L’evidenza, del resto, che in un passato non molto lontano da noi esistessero sulla Terra creature come il feto della Valle delle Regine è ben documentata dall’archeologia. Leblanc, nella sua relazione congressuale, afferma che questo feto “è rimasto nella Valle delle Regine” ed è oggi esposto, custodito in una teca di cristallo, nell’ultima stanza della tomba di uno dei figli di Ramses III, il principe Amon Her Khepeshef. Non chiarisce, tuttavia, attraverso quali passaggi possa essere arrivato fin lì dentro. Si limita a citare il fatto assai curioso che “dopo generazioni questo feto è al centro d’un rituale il cui risultato deve permettere alle donne sterili della regione di poter fare figli”. Se le cose stanno dunque così, allora quella tomba (che non ha niente a che vedere con il feto in sè, ricordiamolo) deve essere meta di pellegrinaggi “magici”, ed il feto è esposto in una teca di cristallo forse anche per questo! Per noi è un oggetto di studio, ma per la gente del posto è una reliquia che fa miracoli! In effetti pare anche a me che sia capace di fare miracoli: innanzitutto “convinse” Schiaparelli a non farsi spedire a Torino e poi, con questa storia dei riti magici cui i locali sono particolarmente attaccati, nessuno oggi potrebbe smuoverla tanto facilmente da dove sta adesso.
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domenica 12 dicembre 2010
Il feto di un alieno nella Valle dei Rè(Egitto)
L’egittologo Christian Leblanc presentò al VI Congresso Internazionale di Egittologia, svolto a Torino nel 1991, una serie di dettagliati resoconti riguardanti sia gli scavi che le ultime scoperte archeologiche avvenute a Tebe-Ovest, in Egitto, negli uadi annessi alla Valle delle Regine. Stranamente però, quando si mise a parlare del Vallone del principe Ahmes, non si limitò ad esporre i fatti recenti, ma dedicò del tempo a far conoscere lo stato delle sue ricerche personali riguardo ad una scoperta fatta parecchio tempo addietro, nell’ormai lontano 1903, dagli archeologi italiani Ernesto Schiaparelli (Direttore di allora del Museo Egizio di Torino) e Francesco Ballerini. Negli Atti del Congresso, pubblicati a Torino nel 1993, Leblanc cita, nelle note in calce alla sua relazione, sia le annotazioni di Ballerini (Notizia Sommaria, 1903, pp.32-33) che il rapporto di Schiaparelli (Relazione, I, 1924, pp.22-24) a proposito del ritrovamento, da parte degli italiani, d’una scatola di legno, coperta da cumuli di detriti, su uno dei fianchi del Vallone del principe Ahmes, durante la campagna di scavi del 1093. I resoconti di Schiaparelli e Ballerini riferivano anche che, all’interno di questo contenitore, era stato rinvenuto il corpicino d’un neonato, probabilmente nato morto, avvolto con molta cura in bende funerarie di lino. Leblanc, che deve aver letto con attenzione i rapporti della Missione italiana del 1903, non ha alcun dubbio sul fatto che la deposizione nella Valle di quella cassa di legno, con il suo contenuto, sia avvenuta nel periodo della XVIII dinastia egizia, cui risale peraltro la prima occupazione funeraria del Vallone. L’egittologo francese riferì ancora, nella sua relazione congressuale, che la cassa fu “apparentemente” spedita a Torino ma che Schiaparelli e Ballerini non solo non citarono il feto tra i reperti imballati per la spedizione, ma neanche spiegarono che fine avesse fatto. Ora a riguardo di questa mancata menzione nei rapporti, una spiegazione soddisfacente sulle abitudini di Schiaparelli ce la dà l’egittologo italiano Domenico Davide che, nello stesso Congresso di Torino del 1991 (op. cit., II, p.87 sgg.) ebbe a dire: “Dai lavori dello Schiaparelli non abbiamo alcuna precisazione. Mi diceva il Professore (il Senatore Giovanni Marro, N.d.A.) che lo Schiaparelli, preciso nello scavo, scrupoloso nella numerazione dei singoli reperti, non teneva precisamente un giornale di scavo - o quanto meno esso non è stato ancora trovato - ma affidava alla sua memoria i particolari.” Il dott. Davide concludeva poi che, a causa di ciò, qualsiasi ricostruzione dei fatti “sarà lunga e difficile”. Certo, se Schiaparelli avesse deciso di correre il rischio della spedizione, se il feto fosse arrivato integro a Torino e se, una volta arrivato, avesse continuato a conservare la sua integrità, allora esso farebbe oggi bella mostra di sé nella Collezione osteologica egiziana predinastica e dinastica « Giovanni Marro », conservata al museo di Antropologia ed Etnografia dell’Università di Torino. Tra i documenti fotografici presentati da Leblanc a Torino nel 1991 vi è anche una radiografia del feto eseguita, come disse lui stesso, da André Macke e Christiane Macke-Ribet, medici antropologi della Missione del C.N.R.S.. In effetti André Macke pubblicò, negli anni successivi, un libro dal titolo Ta Set Nefrou V, Une Necropole De Thebes Ouest et Son Histoire, ma un’anticipazione dei contenuti di questo libro il medico la fece proprio dal palco del Congresso di Torino, quando toccò a lui prendere la parola. Stranamente però, il dott. Macke non disse nulla, in quella relazione, al riguardo del feto di cui aveva già parlato poco prima il suo Direttore. Tocca dunque a chi scrive adesso fare una seppur sommaria descrizione delle anomale anatomiche riscontrate. Il feto mostra una scatola cranica di dimensioni notevolmente più grandi rispetto a quelle che ha normalmente un bambino appena nato. Quando si verificano, nell’ambito umano, deformità di questo genere allora si parla in generale di craniostenosi. La deformità della scatola cranica è resa ancor più evidente dalla radiografia laterale eseguita da Macke. Questa infatti mette in evidenza la troncatura netta della parte posteriore del cranio, causata dalla sua asportazione o distruzione. Se noi ricomponiamo le linee spezzate, otteniamo qualcosa di veramente fuori dalla norma. Ora se si tratta d’una forma di craniostenosi devono essere implicate necessariamente anche altre conseguenze anatomo-patologiche. In questo tipo di malformazioni infatti, a causa della chiusura prematura delle suture craniche, i forami ottici, al fondo delle camere orbitali, risultano distorti e ristretti, cosiché il nervo ottico può, a seconda della gravità e del grado di deformazione, subire un danno che va dalla semplice compressione alla strozzatura, con conseguenze che vanno dal deficit visivo alla cecità. L’esame radiografico FRONTALE del cranio, in casi di questo genere, è dimostrativo, perché mette in evidenza la distorsione ed il restringimento dei fori ottici, rendendo possibile così una diagnosi di craniostenosi. Questa radiografia frontale il dott. Macke non l’ha mai presentata. Per fortuna è possibile, attraverso la sola osservazione macroscopica, ottenere altre verifiche per la corretta formulazione d’una diagnosi. Tra le conseguenze delle varie forme di craniostenosi, infatti, c’è anche l’anomala configurazione delle orbite oculari, che risultano piccole e poco profonde, tanto da provocare esoftalmo, strabismo e, nella maggioranza dei casi, atrofia del globo oculare. Ebbene, nel caso del feto della Valle delle Regine è vero l’esatto contrario: le orbite sono molto grandi e molto profonde. Allora delle due l’una: o c’è la craniostenosi o non c’è. La scatola cranica è enorme e tuttavia anche le orbite oculari risultano grandi e profonde. Esiste un solo modo per uscire da questo vicolo cieco, ed è quello d’ammettere che in quella creatura tutto era normale, che cioè non c’era nessuna patologia ma che quella era la normalità per un essere ben diverso da noi. Quello scheletro cioè non appartiene ad un essere della razza umana, per lo meno di quelle che noi attualmente conosciamo. L’evidenza, del resto, che in un passato non molto lontano da noi esistessero sulla Terra creature come il feto della Valle delle Regine è ben documentata dall’archeologia. Leblanc, nella sua relazione congressuale, afferma che questo feto “è rimasto nella Valle delle Regine” ed è oggi esposto, custodito in una teca di cristallo, nell’ultima stanza della tomba di uno dei figli di Ramses III, il principe Amon Her Khepeshef. Non chiarisce, tuttavia, attraverso quali passaggi possa essere arrivato fin lì dentro. Si limita a citare il fatto assai curioso che “dopo generazioni questo feto è al centro d’un rituale il cui risultato deve permettere alle donne sterili della regione di poter fare figli”. Se le cose stanno dunque così, allora quella tomba (che non ha niente a che vedere con il feto in sè, ricordiamolo) deve essere meta di pellegrinaggi “magici”, ed il feto è esposto in una teca di cristallo forse anche per questo! Per noi è un oggetto di studio, ma per la gente del posto è una reliquia che fa miracoli! In effetti pare anche a me che sia capace di fare miracoli: innanzitutto “convinse” Schiaparelli a non farsi spedire a Torino e poi, con questa storia dei riti magici cui i locali sono particolarmente attaccati, nessuno oggi potrebbe smuoverla tanto facilmente da dove sta adesso.
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