Chi di voi ha seguito la trasmissione “Stargate Linea di confine” nelle ultime settimane conoscerà l’argomento che tenterò di esporvi, mentre per gli altri risulterà del tutto nuovo. Innanzitutto procederemo con una breve introduzione e poi passeremo ad esporre la teoria di Peter Tompinks. Nel nostro passato sono state costruite varie opere colossali, tra cui le piramidi in Egitto e opere megalitiche in sud America. Molti si sono chiesti come sia stato possibile costruire simili opere in un passato remoto con gli scarsi mezzi dell’epoca. Obiettivamente, per quanto per alcune cose si sono trovate delle spiegazioni ragionevoli, altre rimangono avvolte nella più totale oscurità. Se si pensa alle costruzioni megalitiche di Machu Picchu, non si può non rimanere sorpresi e chiedersi come sia stato possibile costruire simili opere su un cocuzzolo così impervio.
Come è stato possibile trasportare blocchi pesanti centinaia di tonnellate su una montagna? E non solo. Molti di questi blocchi sono sagomati in modo particolare, in maniera da potersi incastrare perfettamente con blocchi complementari. E non dimentichiamo un particolare importante: i popoli del sud America non conoscevano la ruota! Vi renderete conto come questo complichi le cose, niente carri, niente carrucole o argani o altri marchingegni che implichino l’uso della ruota. Tutto questo ha fatto nascere mille ipotesi tra cui le più fantasiose chiamano in causa alieni, dei o magia. In una delle puntate di “Stargate Linea di confine”, lo studioso Peter Tompkins ha esposto la sua idea che è degna di un certo interesse e non chiama in causa fenomeni paranormali. Nell’intervista concessa a “Stargate Linea di confine”, Tompkins ha tenuto a specificare che non esistono prove su chi ha costruito le piramidi, in quale epoca, sul perché e soprattutto sul come e che tutta l’egittologia ufficiale non si fonda su prove certe ma solo su supposizioni. Partendo da questa premessa ha esposto la sua idea su come sia stato possibile costruire queste opere megalitiche. Ha parlato dell’esistenza di una erba rossa alta più o meno 25 centimetri, capace di sciogliere la pietra e poi di riaggregarla nella forma voluta.
L’idea è che gli antichi conoscendo tale pianta, costruivano dei cassoni, li riempivano di ciottoli poi ci buttavano un estratto di questa pianta che trasformava le pietre in forma liquida e poi aspettavano che il tutto ritornasse in forma solida. Così facendo, avevano a disposizione blocchi enormi della forma voluta e nel posto voluto. Questo naturalmente spiegherebbe molte cose e soprattutto senza chiamare in causa alieni o poteri paranormali. Una caratteristica delle pietre di queste costruzione megalitiche è di essere piuttosto regolari e ben levigate ed è difficile pensare come sia stato possibile fare ciò, mentre con la teoria di Tompinks, ciò si spiega facilmente. Il problema è dimostrare l’esistenza di questa erba rossa. Lo studioso ha citato alcune testimonianze scritte e da lui ritrovate. La prima di questa risale a circa 2 secoli fa ed è una leggenda riportata da un viaggiatore statunitense di Boston che racconta di come erano costruiti i grandi templi mesoamericani grazie all’utilizzo di una pianta misteriosa. Una seconda testimonianza risale all’inizio del 900 e vede protagonista un inglese. In un suo viaggio a cavallo è costretto a proseguire a piedi perché il cavallo si è azzoppato. Chiaramente indossa degli speroni, ma questi misteriosamente si dissolvono nell’attraversamento di un prato di erba rossa. Un altro racconto riporta le ricerche di un prete che ha passato gran parte della propria vita alla ricerca di un misterioso uccello, il pito, di dimensioni molto piccole che ha la particolarità di scavare il proprio nido nella roccia con l’ausilio della nostra erba rossa. Il pito prende in bocca un pezzo di erba rossa e lo strofina nella roccia che pian piano si dissolve fino a formare una cavità adatta a contenere il suo nido. Queste sono le testimonianze storiche, ma esiste un ulteriore prova anche se indiretta. Si tratta dell’esperimento dell’ingegnere francese Davidovits, studioso di agglomerati che è riuscito a realizzare delle rocce calcare pesanti tonnellate partendo da calcare sbriciolato. Ha studiato la sabbia di Giza ed ha constatato che è di tipo argilloso e partendo da quest’elemento e aggiungendovi un sale, della calce e dell’acqua ha realizzato dei blocchi del tutto simili a quelli delle grandi piramidi. Da notare che ha utilizzato “ingredienti” conosciuti agli antichi egizi, e quindi è pensabile che abbiano potuto inventare questo sistema. L’esperimento di Davidovits è forse meglio approfondirlo in un lavoro a parte. Per il momento è interessante constatare che l’esperimento sembra confermare anche se in maniera indiretta l’ipotesi di Tompinks. Le differenze fra le due tecnologie ci sono, da una parte un calcestruzzo inventato dall’uomo, dall’altra parte una erba particolare capace di sciogliere le pietre. Ora bisogna attendere la prova definitiva, cioè il ritrovamento di questa pianta, sperando che nel frattempo non sia estinta. In effetti considerando il gran numero di opere megalitiche realizzate dai popoli mesoamericani è ipotizzabile un massiccio sfruttamento di questa erba che l’ha portata a sopravvivere solo nei posti più impervi. Il ritrovamento di questa erba cambierebbe notevolmente le nostre teorie sui popoli antichi e ciò che ora sembra assurdo tornerebbe ad avere una spiegazione razionale.
Blog dedicato a tutti gli amanti del mistero....dagli ufo ai fantasmi dagli archeomisteri all'esoterismo....per confrontare le nostre idee ed i nostri pensieri su argomenti che normalmente non vengono trattati dai mass media.....(per far si che il sito sia più interessante e completo vi invito a rilasciare le vostre opinioni)
domenica 30 gennaio 2011
lunedì 24 gennaio 2011
IL MANOSCRITTO MISTERIOSO DI VOYNICH
Era il 1912 quando un collezionista di libri rari, Wilfred Voynich, saputo dell'esistenza di un misterioso manoscritto venuto alla luce in un antico baule conservato nella scuola gesuitica di Mondragone a Frascati, era riuscito ad accaparrarselo per un'ingente somma. Si trattava di un volume in ottavo, di circa 18 per 27 cm, composto di 204 pagine. In origine ne aveva altre 28, ma erano andate perdute. Era scritto in cifrato che a prima vista si sarebbe detto la tradizionale, consueta calligrafia medievale. Quasi tutte le pagine erano come ricamate da lievi piccoli disegni di corpi nudi femminili, diagrammi astronomici e ogni genere e tipo di pianta a più colori.
Il manoscritto era accompagnato da una lettera, datata 19 agosto 1666, scritta da Joannes Marco Marci, rettore dell'Università di Praga. La lettera era indirizzata al celebre gesuita e studioso Athanasius Kircher - oggi ricordato soprattutto per gli studi sull'ipnosi - e si denunciava che il libro era stato acquistato per 600 ducati dall'imperatore del Sacro Romano Impero, Rodolfo II di Praga. Kircher era un esperto di crittografia, avendo dato alle stampe un testo sull'argomento datato 1663, in cui annunciava al mondo di essere riuscito a decifrare i misteriosi geroglifici egiziani. La cosa ci induce a ritenere il personaggio un tipo un po' troppo fantasioso, se è vero, come sappiamo, che la loro decifrazione avvenne soltanto un secolo e mezzo dopo per opera dello Champollion. Da quel che pare, Kircher si era messo al lavoro per la decodifica di qualche pagina, su invito del precedente proprietario, che diceva di aver praticamente dedicato l'intera sua vita nell'inutile operazione. Ora, gli faceva pervenire tutto il resto del volume.
Non sappiamo per quali vie il manoscritto era approdato a Praga, ma la possibilità più accreditata è che vi venisse portato dall'Inghilterra su iniziativa del famoso mago di corte della regina Elisabetta, il dottore mirabile John Dee, che aveva visitato Praga nel 1584. Secondo alcuni, Dee avrebbe ottenuto il manoscritto dal duca di Northumberland, che aveva saccheggiato e depredato i monasteri inglesi su preciso ordine del re Enrico VIII. Più tardi, lo scrittore inglese Sir Thomas Browne riferisce che il figlio di Dee parlava di «un libro che non conteneva null'altro che geroglifici», che lui aveva esaminato e studiato a Praga. Per Marci, invece, il misterioso volume era frutto del lavoro esoterico di un altro grande, il monaco e scienziato del XIII secolo Ruggero Bacone.
Il manoscritto Voynich (come lo si chiama oggi) costituisce davvero un bel mistero proprio perché sembra fin troppo chiaro: con tutti quei disegni di piante e vegetali, a prima vista si direbbe infatti un "erbario", un libro che insegna ad estrarre succhi e pozioni benefiche dalle piante. D'altra parte è normale aspettarsi dei diagrammi e delle tavole astronomiche e zodiacali in un erbario, perché molte piante andavano raccolte con la Luna piena o quando stelle e pianeti si trovavano in una data, precisa collocazione celeste.
Neppure Kircher aveva avuto successo nella decrittazione e alla fine, arresosi, lo aveva consegnato al collegio gesuita di Roma, da dove era poi transitato nelle mani dei Gesuiti di Frascati.
Da parte sua, Voynich era certo che il manoscritto non avrebbe continuato a restare un enigma, una volta che altri studiosi avessero avuto l'opportunità di visionarlo. Così aveva distribuito copie dell'originale a tutti gli interessati. Il primo grosso nodo da sciogliere era riuscire a riconoscere la lingua in cui era scritto: latino, inglese medievale, forse persino lingua d'Oc. La cosa non sembrava impossibile, dal momento che i disegni delle piante erano titolati, sebbene con scritte in codice. Ma molti nomi erano immaginari. Lo stesso per le costellazioni: potevano essere riconosciute fra quelle presenti nel firmamento, ma questa volta era il loro nome che non si poteva dedurre. Gli specialisti in decifrazione si impegnarono a fondo, applicando i più diffusi metodi di decrittazione arrivando a dedurre 29 diverse singole lettere o simboli, ciò nonostante ogni tentativo di tradurre il testo in una lingua conosciuta era fallito. Ma ciò che più di ogni cosa indispettiva gli studiosi stava nel fatto che, per quanto strano, il testo non sembrava affatto scritto seguendo la chiave di un codice, ma come se l'autore lo avesse scritto in piena scioltezza, come chi scrive nella propria lingua madre. Molti analisti, filologi, studiosi, linguisti, astronomi, profondi conoscitori dei metodi baconiani si offrirono; persino la Biblioteca vaticana mise a disposizione i suoi uffici e i suoi libri pur di arrivare a una conclusione. Invano. Il misterioso manoscritto continuò a rifiutarsi di svelare il suo segreto o, forse è meglio dire, i suoi segreti.
Poi nel 1921 un professore di filosofia dell'Università della Pennsylvania, William Romaine Newbold, annunciò che alla fine ce l'aveva fatta a svelare il codice segreto del libro. Lo avrebbe annunciato nel corso di un incontro da tenersi a Philadelphia nell'ambito della Società americana di filosofia. La prima cosa che aveva attuato era stato far corrispondere a ciascun simbolo una lettera dell'alfabeto romano, riducendo il gruppo da 29 a 17 unità. Utilizzando il vocabolo latino conmuto (o commuto, che significa permuto) come parola chiave era riuscito a ricavare più di quattro versioni del testo, di cui l'ultima, quella giusta, derivata direttamente da vocaboli latini e da loro anagrammi. A questo punto era bastato ricomporre il tutto per ottenere uno straordinario manoscritto scientifico, attestante che Bacone era un genio incomparabile.
La cosa, d'altra parte, è nota. Era stato proprio Bacone, in un passo del suo Opus maius, a instillare in Colombo l'idea che le Indie si sarebbero potute raggiungere salpando dalla Spagna e veleggiando verso occidente. In giorni improntati allo studio di rigide discipline quali l'alchimia e dogmatiche scienze così come erano state impostate dal grande Aristotele, Bacone aveva invece difeso una conoscenza nuova, basata sull’esperimento e sull'osservazione e per questo era stato incarcerato. Perché rigettando l'autorità aristotelica egli rinnegava anche quella della Chiesa. Nel suo La città di Dio Agostino già aveva avvisato l'umanità di stare attenta alle insidie della scienza e dell'intelletto, primi impedimenti verso la salvezza. Ruggero Bacone, al pari del suo omonimo elisabettiano Francesco, si rendeva ben conto che un simile atteggiamento significava il suicido dell'intelletto; tuttavia, ciò malgrado, si deve lo stesso riconoscere che essendo anche figlio del suo tempo, Opus maius è un'opera colma di pregiudizi e grossolani errori e superstizioni.
Ma, se Newbold ha ragione, Bacone fu uno dei più straordinari scienziati prima di Newton. Era solito usare un microscopio da lui costruito per osservare cellule e spermatozoi - a questo si riferivano i disegni di animaletti simili a girini sui margini del libro - e realizzò un telescopio molto prima di Galileo, scoprendo che la nebulosa di Andromeda era una galassia a forma di spirale. Newbold presenta un'osservazione di Bacone che attribuisce proprio alla descrizione di questo corpo celeste: In uno specchio concavo ho potuto osservare una stella a forma di chiocciola, fra la nave di Pegaso, la corona di Andromeda e la testa di Cassiopea. (È noto che Bacone ben conosceva l'utilizzo della lente concava come specchio ustorio). Sempre Newbold dichiara che non aveva la minima idea in merito a ciò che avrebbe osservato puntando un telescopio in quella direzione. Grande era dunque stata la sua sorpresa nel constatare che la "chiocciola" altro non era che la nebulosa di Andromeda.
Il primo a mettere in risalto alcuni dei punti deboli del metodo proposto da Newbold, è stato David Kahn, esperto crittografo, nel suo libro dal titolo The Codebreakers. Il metodo consiste nel "raddoppio" delle lettere componenti una parola. Così, per esempio, "oritur" diventa or-ri-it-tu-ur. La soluzione del testo avviene con l'ausilio della parola chiave "conmuto" e con l'aggiunta della lettera "q". Ma come avveniva il processo contrario, vale a dire, quando Bacone trasferiva il testo originale nel cifrato? Kahn afferma: «Molti codici univoci, a un solo indirizzo, sono stati mal interpretati; è certamente possibile cifrare dei messaggi, ma è pressoché impossibile decrittarli. Newbold sembra l'unico caso conosciuto in cui la situazione si presenta esattamente al contrario».
Newbold morì nel 1926, a soli sessant'anni. Due anni dopo, il suo amico Roland G. Kent diede alla stampa il risultato delle sue ricerche in un libro intitolato The Cipher of Roger Bacon, un testo ampiamente accettato da illustri studiosi, fra cui, per esempio, Étienne Gilson.
Ma c'era un allievo che, proprio perché aveva approfondito all'estremo lo studio del sistema applicato da Newbold, non se ne dichiarava soddisfatto. Era il dottor John M. Manly, filologo capo dell'istituto di lingua inglese presso l'Università di Chicago, destinato a diventare assistente del grande Herbert Osborne Yardley - celebrato come il massimo esperto in decodifica di tutti i tempi - quando nel 1917 il servizio segreto degli Stati Uniti decise di aprire un dipartimento appositamente dedicato alla decrittazione di codici segreti. Manly aveva dato alle stampe gli otto volumi della edizione definitiva dell’opera di Chaucer, mettendo a confronto non meno di ottanta versioni del manoscritto medievale dei Racconti di Canterbury. Una delle conquiste più eclatanti e prestigiose della sua carriera era stata la decifrazione di una lettera in codice trovata all'interno del bagaglio di una spia tedesca che si faceva chiamare Lothar Witzke, catturata a Nogales, in Messico, nel 1918. Nel corso di tre giorni di full immersion, Manly era riuscito a risolvere le dodici trasposizioni cifrate, attraverso uno slittamento multiplo in scala orizzontale di gruppi di tre e quattro lettere, finalmente disposti nella versione finale secondo una disposizione verticale. Davanti alla corte marziale, Manly era stato in grado di leggere a voce alta il messaggio cifrato, inviato alla spia dal ministro Tedesco in Messico: «Il latore di questo messaggio è un membro dell'impero e si muove sotto le mentite spoglie di un cittadino russo di nome Pablo Waberski. In realtà si tratta di un agente segreto tedesco...». Questo fatto fu la prova schiacciante della sua colpevolezza. L'uomo era stato condannato a morte, anche se poi la pena era stata commutata nel carcere a vita da un gesto di magnanimità del presidente americano Wilson.
Ora Manly si era dedicato all'analisi del libro di Newbold e del suo metodo, giungendo a concludere che l'autore si era in pratica autoingannato. L'anello debole di tutto il complicato sistema di decifrazione consisteva nel processo di anagramma. Molte frasi, infatti, potevano essere anagrammate in dozzine di altre frasi tutte diverse fra loro, un metodo tipico di Bacone, tanto che molti suoi sostenitori si facevano forti di questa sua caratteristica per indicare in lui il vero autore delle opere attribuite a Shakespeare. Per una frase che contempli anche soltanto un centinaio di lettere, non esiste in pratica un metodo assoluto che garantisca che solo e soltanto quel dato aggiustamento anagrammatico sia quello corretto, l'unica soluzione. In merito, Kahn propone il semplice esempio delle parole "Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te", anagrammabili in almeno un migliaio di altre frasi e versioni tutte diverse.
Inoltre Newbold aveva classificato alcuni "tratti calligrafici abbreviati" come segni di base per il suo sistema interpretativo. Quando Manly li aveva osservati con l'ausilio di una potente lente di ingrandimento si era invece reso conto della loro vera natura: niente di più che semplici impuntature della penna che si era come incastrata nella pergamena lasciandosi dietro lettere e segni incompleti. Insomma, i casi in cui Newbold veniva colto in plateale errore erano così numerosi da poter tranquillamente asserire che Manly aveva demolito sin dalle fondamenta la sua ipotesi di decifrazione del codice criptato adottato da Ruggero Bacone nel misterioso manoscritto.
Da quell'anno in avanti - siamo nel 1931 - ci furono molteplici altri tentativi di decodifica. Nel 1933 un medico esperto nello studio dei tumori, il dottor Leonell C. Strong, pubblicò alcuni frammenti di traduzione, rivelando con sua grande soddisfazione che il testo altro non era che un erbario scritto da uno studioso inglese, certo Anthony Ascham. Fra le altre rivelazioni, Strong svelò anche una ricetta contraccettiva che sembrava funzionare assai bene. Ciò che però Strong non riuscì mai a chiarire compiutamente fu il sistema seguito per giungere alla comprensione del testo e così la sua proposta non venne in pratica tenuta in conto da nessuno.
Poi era stata la volta di William F. Friedman, il quale negli ultimi anni della seconda guerra mondiale aveva dato corpo a un gruppo di studiosi dedito all'analisi del manoscritto. La fine del conflitto aveva fatto sciogliere il gruppo e non si era approdati a nulla. Ma Friedman aveva lo stesso fatto osservare come il manoscritto Voynich differisca da tutti gli altri scritti in codice per un sostanziale, importante aspetto. Di norma, una delle prime regole messe in atto dall'inventore di un codice segreto è quella di evitare le ripetizioni che sono appigli di facile individuazione e che consentono a chi si appresta alla decifrazione di avere alleati seminati nel testo (per esempio, il gruppo reiterato di tre lettere, nella lingua inglese, potrebbe facilmente essere decifrato come "and" e "thè"). Ebbene, il manoscritto Voynich presenta una grande abbondanza di ripetizioni, molte di più di un testo cifrato classico. Questa osservazione portò Friedman a immaginarlo come scritto in un linguaggio artificiale che, per il semplice motivo della chiarezza, non può fare a meno di utilizzare le ripetizioni, a differenza di un linguaggio naturale complesso. La cosa però presuppone che Ruggero Bacone (o chi scrisse il manoscritto) desiderasse così ardentemente velare il significato delle sue parole da mettere in atto una strategia estremamente sofisticata, tanto da essere considerata inaccessibile persino dai grandi esperti di messaggi in codice. E tutto questo per un monaco del XIII secolo, che non si vede perché necessitasse di utilizzare chissà quale codice occulto, ci pare veramente cosa improbabile...
Ma sta qui, proprio in questo, la vera e profonda chiave dell'arcano. Noi oggi ancora non sappiamo perché il manoscritto venne redatto, da chi e in quale linguaggio, ma quand'anche venissimo a capo di questi interrogativi, continueremmo a non vedere una buona ragione di tanta fatica per l'invenzione di un codice assolutamente impenetrabile. I primi testi criptati sono conservati nella Biblioteca vaticana e risalgono al 1326 (quando Ruggero era un bambino) e raccolgono molto semplicemente soltanto dei nomi in codice di personaggi legati ai partiti politici dei Ghibellini e dei Guelfi, rispettivamente sostenitori della causa imperiale e papale. Nel testo i Ghibellini erano detti gli Egiziani, mentre i Guelfi erano i Figli di Israele. (Facile, con queste premesse, indovinare da che parte stava il redattore del codice!). Le prime "sostituzioni" cifrate, occidentali moderne iniziano a far data dal 1401. Il primo trattato di codici segreti, il Poligraphia di Giovanni Tritemio, fu pubblicato soltanto nel 1518, due anni dopo la morte dell'autore. Per questo diventa difficile immaginare che Ruggero Bacone o qualsiasi altro inventore nel secolo immediatamente successivo alla sua scomparsa si sia potuto sobbarcare un rovello mentale così straordinario da creare un codice tanto sofisticato da non essere stato decifrato neppure ai nostri giorni. Kahn prova a immaginare perché l'ipotetico redattore del misterioso erbario (ciò che, in definitiva, parrebbe essere a prima vista il manoscritto Voynich) ci tenesse tanto a nascondere il suo lavoro, ricordando il più antico caso di occultamento che la storia ricordi, ossia quello rinvenuto su una tavoletta di argilla impressa con caratteri cuneiformi e databile attorno al 1500 a.C.: «La tavoletta contiene la prima formula a noi nota per la smaltatura della ceramica. L'ignoto scriba, geloso della sua straordinaria scoperta, utilizza i segni cuneiformi... nella loro accezione meno comune». Possiamo quindi immaginare che l'autore del manoscritto Voynich fosse un abile erborista desideroso di fermare sulla carta, per sé e per i suoi allievi, le ricette messe a punto con tanta applicazione e fatica, nella - in questo caso più fondata che mai - speranti di evitare che divenissero preda di qualche concorrente.
E’ stata forse questa la molla che ha spinto l'antiquario, esperto di libri, Hans Kraus a entrare nella storia dei manoscritto. Quando nel 1960, alla venerabile età di novantasei anni, Ethel Voynich morì, Kraus fece di tutto per entrare in possesso del manoscritto dagli eredi, per poi metterlo all'asta per la bellezza di 160.000 sterline. La promessa caldeggiata era che chi fosse riuscito a decifrare il misterioso testo avrebbe certamente scoperto informazioni che avrebbero scritto una nuova pagina della storia dell'uomo. Insomma, un'opera che una volta decodificata avrebbe visto il suo valore salire alle stelle. Ma non si era fatto avanti nessuno e così alla fine, nel 1969, Kraus pensò bene di donare il libro alla Università di Yale dove tuttora si trova, in attesa che qualche ispirato decifratore possa trovarne la chiave interpretativa.
martedì 18 gennaio 2011
IL SACRO GRAAL,UN MISTERO DI 2000 ANNI
Per 2000 anni gli uomini si sono recati ai quattro angoli del mondo conosciuto alla spasmodica ricerca del santo grall,il calice in cui Gesù bevve il vino durante l'ultima cena e in cui ,secondo la tradizione,Giuseppe D'arimatea,ricco commerciante membro del sidedrio e discepolo di Gesù,ne raccolse il sangue durante la crocifissione.
Da allora schiere di cavalieri, nobili, studiosi, esploratori ed archeologi, animati dal desiderio di ritrovare la reliquia più sacra della cristianità, hanno creduto di averla localizzata ora in Medio Oriente, ora nell’Europa Continentale, ora in Inghilterra, ora nel Nuovo Mondo.
In questa trattazione saranno passate in rassegna le principali ubicazioni del Santo Calice che, volta per volta, sono state proposte dai vari studiosi come possibili nascondigli del Graal.
Alcuni ricercatori hanno avanzato l’ipotesi secondo cui il Santo Calice si trovi in Iran, per la precisione da qualche parte all’interno della fortezza di Takht-I-Sulaiman, sede principale del culto di Zoroastro, la cui struttura architettonica presenta delle forti similitudini con quella del leggendario "Castello del Graal", descritto dal poeta tedesco Wolfram von Eschenbach nel poema Parsifal. A seguito di tale notevole rassomiglianza, alcuni studiosi postulano che questa fortezza sia da identificarsi con la mitica "Sarraz", il leggendario ed irraggiungibile luogo dove il Santo Graal sarebbe stato portato e dove sarebbe ancora oggi custodito.
Anche l’Italia è stata più volte chiamata in causa da studiosi e storici come uno dei paesi in cui il Santo Graal sarebbe stato portato ed in cui potrebbe tuttora trovarsi; una delle regioni che potrebbe ospitare la più importante reliquia della cristianità è la Puglia.
Nel 1087 Papa Gregorio VII (Soana, Toscana, 1020 c. - Salerno 1085), avendo localizzato il calice nei territori occupati dai Turchi Selgiuchidi e ritenendo che la sua presenza in loco potesse aiutare i turchi nella loro avanzata contro l’impero bizantino, organizzò segretamente una spedizione per recuperarlo, spedizione costituita da 62 marinai, accuratamente selezionati tra quelli che lavoravano abitualmente nel porto di Bari.
Purtroppo non sono noti documenti che rivelino i dettagli della missione né il luogo in cui sarebbe stato custodito il Santo Calice; ci è dato di sapere soltanto che i marinai rinvennero, in una chiesa sconsacrata di Myra, nell’attuale Turchia, un calice, subito identificato con il Santo Graal ed alcune ossa, ritenute appartenenti alle spoglie mortali di S. Nicola (IV secolo). La tradizione narra che quest’ultimo abbia posseduto, nel VI secolo, la coppa, grazie alla quale elargiva doni e dispensava cure ai bisognosi ed ai malati. Secondo alcuni studiosi, peraltro, questa leggenda avrebbe dato origine alla credenza popolare, diffusa tra i bambini dei paesi occidentali, di Santa Claus, meglio conosciuto come Babbo Natale, che non sarebbe altro che la trasposizione occidentale in chiave moderna di S. Nicola.
Una volta che la coppa ed i presunti resti del santo vennero portati a Bari, Papa Gregorio VII dette ordine di far erigere una basilica nella città, la Chiesa di S. Nicola, giustificandone la costruzione con la necessità di custodire degnamente le spoglie mortali di S. Nicola ma in realtà con il segreto intento, secondo alcuni studiosi, di nascondervi il Santo Graal.
La Puglia è ancora una volta al centro della "cerca" del Graal in Italia. Difatti, poco lontano da Bari, ad Andria, vi sarebbe un altro possibile nascondiglio del Santo Calice: Castel del Monte.
Alcuni studiosi teorizzano che i Sufi consegnarono il Santo Graal all’Ordine dei Cavalieri Teutonici, con cui erano in contatto ed intrattenevano stretti rapporti di scambio culturale. I Cavalieri Teutonici, a loro volta, avrebbero affidato la reliquia all’imperatore Federico II Hohenstaufen (Iesi 1194 - castello di Fiorentino, Puglia, 1250) il quale, successivamente, l’avrebbe collocata nel Castel del Monte, edificato proprio per custodirla.
Il fine ultimo delle Crociate era quello di liberare dall’occupazione mussulmana il Santo Sepolcro, ossia il luogo ove il corpo di Gesù venne collocato e ove rimase fino alla Resurrezione. Tuttavia, per fare ciò, era necessario conquistare la città di Gerusalemme.
Al termine del 1099 i cavalieri crociati espugnarono la Città Santa e ne conservarono il dominio fino al 1187, anno in cui i mussulmani la riconquistarono. Tra gli oggetti che i crociati recuperarono in Terra Santa e portarono in Europa vi era anche quello che la tradizione chiama il "Sacro Catino", un piatto di vetro di colore verde smeraldo di 40 centimetri di diametro rinvenuto durante il saccheggio di Cesarea nel 1101 e trasferito a Genova da Guglielmo Embriaco.
Nel 1806 i francesi lo portarono a Parigi e dopo un decennio, nel 1816, ritornò nuovamente a Genova; nel 1950 fu restaurato ed oggi è possibile ammirarlo nel Museo del Tesoro di S. Lorenzo della Cattedrale di S. Lorenzo a Genova.
I cavalieri crociati che rinvennero il piatto ritenevano che fosse stato ricavato, nella notte dei tempi, da un grande smeraldo e che la regina di Saba ne avesse fatto dono al re Salomone (961 a.C. c. - 922 a.C.) in occasione di una visita ufficiale durante la quale ella avrebbe messo a dura prova la saggezza del costruttore del Tempio di Gerusalemme con una serie di enigmi.
La tradizione ha da sempre identificato questo piatto con il Santo Graal in quanto una leggenda narra che quest’ultimo venne intagliato in uno smeraldo.
È interessante notare, a questo punto, come, nel Parsifal di Wolfram von Eschenbach, il Santo Graal assuma i connotati di uno smeraldo.
Eschenbach asserisce di avere attinto una cospicua parte degli elementi narrativi del suo poema dal "Perceval ou le conte du Graal", di Chrétien de Troyes (seconda metà del secolo XII) e da un libro scritto da un non meglio identificato Kyot de Provence il quale, a sua volta, sarebbe venuto a conoscenza dell’associazione Graal-smeraldo dopo aver consultato una fonte documentaria antecedente attribuita ad un dotto mussulmano di nome Flegetanis o Flegitanis, profondo conoscitore dei misteri dell’universo e secondo quanto riportato da Eschenbach stesso, discendente di re Salomone.
Flegetanis avrebbe scritto un libro in cui narrò l’epocale scontro avvenuto tra gli angeli ribellatisi all’autorità del Signore e quelli a lui ancora fedeli e di come dalla corona di Lucifero l’angelo a capo della fazione ribelle, in una circostanza del conflitto o durante la sua caduta all’Inferno, si distaccò un grande smeraldo che, una volta caduto sulla Terra, sempre secondo quanto riportato da Flegetanis, prese il nome di Gral o Graal.
Esiste una variante di questa leggenda secondo cui lo smeraldo si staccò dalla fronte di Lucifero, anziché dalla sua corona.
La locazione anatomica dello smeraldo di Lucifero non può non richiamare l’"urna", il piccolo cerchio collocato in mezzo alla fronte con cui le iconografie induista e buddista ritraggono rispettivamente gli dei del pantheon mitologico-religioso induista e Buddha.
L’urna, secondo il misticismo orientale in generale ed il Tantrismo in particolare, è la rappresentazione figurativo-simbolica del sesto chakra, l’ajnachakra, il cui significato in sanscrito è chakra "ove risiede il comando".
Tale chakra, tradizionalmente localizzato in mezzo alla fronte, in corrispondenza del terzo occhio, presiede alla dimensione mentale sottile, al senso dell’ego ed al puro intelletto e simboleggia l’equilibrio psicofisico necessario per il raggiungimento di un livello superiore di consapevolezza.
Gli autori del saggio dal titolo "Il Santo Graal - Una catena di misteri lunga duemila anni" ipotizzano che Kyot de Provence sia uno pseudonimo e che dietro di esso vi sia in realtà Guiot de Provins, un trovatore, monaco e portavoce dei Templari, che visse in Provenza componendo poesie d’amore e scagliando attacchi contro l’autorità ecclesiastica del tempo.
Sembra accertato che nel 1184 Guiot si trovasse a Magonza, in Germania, per partecipare alla festa cavalleresca di Pentecoste, assieme ad altri poeti e trovatori provenienti da diversi paesi. È lecito ipotizzare che a tale celebrazione fosse presente anche Wolfram von Eschenbach, in quanto cavaliere del Sacro Romano Impero e poiché a quel tempo i dotti non erano molto numerosi, non si può escludere la possibilità che lo scrittore tedesco ed il trovatore francese si siano conosciuti ed abbiano stretto un rapporto di amicizia.
Non è da escludere neanche la possibilità che quanto riportato nel Parsifal da Eschenbach gli sia stato rivelato confidenzialmente da Guiot, anche se in forma simbolica.
A differenza di altre versioni della vicenda del Graal, in cui esso viene descritto come una coppa o un bacile, nel Parsifal, Eschenbach lo connota come una pietra; il breve brano del poema qui di seguito riportato mostra questo aspetto:
Una pietra della natura più pura chiamata lapsit exillas... "Per quanto gravemente fosse malato, un uomo che un giorno vedesse la pietra non può morire per una settimana... e se egli può vedere la pietra, per duecento anni il suo aspetto non muterà mai salvo che forse i suoi capelli diverranno grigi."
È interessante notare come il titolo stesso dell’opera di Eschenbach, Parsifal, sia evocativo di una nuova concezione simbolica del Santo Graal e di come tale concezione si riferisca ad una tradizione religiosa orientale che sembra avvallare l’ipotesi secondo cui la reliquia sia strettamente legata con il culto di Zoroastro e sia quindi custodita nella fortezza di Takht-I-Sulaiman. Parsifal, difatti, è il risultato dell’unione di due termini: "Parsi" e "Fal".
I Parsi costituiscono un’etnia dell’India che professa il parsismo, termine moderno con cui viene designato il zoroastrismo, il culto religioso di Zaratustra; essi discendono da quei persiani che nel 735 d.C. si spinsero fino all’India, con la speranza di preservare la loro fede originale, per sfuggire all’oppressione dei conquistatori mussulmani.
Sulla base di tale considerazione si può avanzare l’ipotesi secondo cui il Santo Graal, qualora fosse giunto tra i Parsi, sia stato da alcuni di questi portato in India e che attualmente esso si trovi da qualche parte nel subcontinente indiano.
Fal è una delle potenti divinità del pantheon mitologico-religioso degli antichi Celti ed il suo nome è sovente associato ad una pietra dotata di poteri sovrannaturali, pietra che la tradizione narra sia stata donata agli uomini, insieme ad altri tre potenti oggetti magici, da creature provenienti dalle profondità dello spazio siderale e successivamente divinizzate dal popolo: gli onniscienti Tuatha de’ Danaan.
Questi quattro oggetti, la "Pietra di Fal", la "Spada di Nuada", il "Calderone di Dagda" e la "Lancia di Lugh", secondo quanto riportato dalla leggenda, sarebbero stati in grado di trasmettere la conoscenza a chiunque ne fosse entrato in possesso. Nel breve brano estratto dal Parsifal e riportato sopra, emerge che il Santo Graal in forma di pietra è in grado di curare le malattie e di donare l’eterna giovinezza, sarebbe quindi dotato di due delle tre proprietà possedute, guarda caso, dalla pietra filosofale.
In Alchimia la pietra filosofale, detta anche "grande pietra" o "rubino dei saggi" o "donum dei", è il risultato finale della terza parte dell’Opera Alchemica ossia la "Grande Opera" o "Magistero".
Attraverso la realizzazione della pietra filosofale, l’adepto raggiunge lo stato divino, l’illuminazione, trascendendo la realtà fisica dell’universo ed elevandosi così ad un livello superiore di coscienza. Dopo l’ottenimento della pietra filosofale, l’adepto la elabora ulteriormente ed il suo potere viene da questi orientato sia verso il regno minerale che verso il mondo organico; tale elaborazione conferisce alla "grande pietra" tre straordinarie proprietà, i tre supremi doni della cosiddetta "triplice corona dei saggi".
La prima proprietà consiste nella "panacea" o "medicina universale", costituita dalla stessa pietra filosofale, nella fattispecie detta "polvere rossa", che, disciolta in un liquore alcolico, si trasforma nell’"elisir di lunga vita". Una volta ingerito, tale elisir è in grado di curare qualsiasi malattia e di donare l’eterna giovinezza, assicurando così all’adepto l’immortalità fisica.
La seconda proprietà è sempre assicurata dalla "panacea", la cui assunzione, in questo caso, garantisce, a chi ne faccia uso, il raggiungimento di uno stato di beatitudine celestiale e l’ottenimento dell’onniscienza, grazie alla quale l’adepto acquisisce il dono della conoscenza del passato, del presente e del futuro, nonché della capacità assoluta di discriminare tra il bene ed il male.
La terza proprietà della "grande pietra" consiste nel suo potere trasmutativo dei metalli vili in quelli nobili, in particolare l’oro. Nonostante la terza proprietà del "rubino dei saggi" sia la meno importante della "triplice corona" del potere e del sapere, essa è sempre stata la più ambita dagli alchimisti di ogni epoca e la più ricorrente nell’immaginario collettivo popolare.
La trasmutazione dei metalli vili in oro ed argento si ottiene quando la pietra filosofale è in forma di polvere, la cosiddetta "polvere di proiezione" ed in tale forma prende il nome di "tintura" in quanto acquisisce la capacità di "tingere", ossia di colorare i metalli vili, trasmutandoli così in metalli nobili. La "polvere di proiezione" viene fermentata o impregnata dell’essenza dell’oro e dell’argento per conferirle la specifica proprietà di convertire qualsiasi metallo vile in uno di questi preziosi materiali; grazie alla terza proprietà l’adepto è in grado di accumulare enormi ricchezze che, tuttavia, utilizzerà esclusivamente per fini umanitari e filantropici in quanto la sua coscienza e la sua moralità si sono evolute parallelamente all’elaborazione della pietra filosofale, il cui completamento è reso possibile solo dal raggiungimento da parte dell’adepto dello stato divino.
Uno dei due aspetti della prima proprietà della pietra filosofale, "l’elisir di lunga vita" o "dell’eterna giovinezza", presenta degli interessanti parallelismi con la leggenda della fonte dell’eterna giovinezza situata nel ricchissimo regno del misterioso "Prete Gianni", oggetto di studio e di lunghe ricerche da parte di numerosi viaggiatori medievali i quali credevano di averne individuato l’ubicazione in India.
Nel Parsifal di Wolfram von Eschenbach ritroviamo tutti questi elementi narrativi ed è interessante notare come essi siano legati tra loro dall’archetipo della pietra, nella cui forma Eschenbach descrive il Santo Graal. Il poeta tedesco, difatti, rimuove la tradizionale veste di coppa o calice con cui fino a quel momento il Graal era stato concepito, ed introduce un significativo elemento di rottura tra il suo poema e quello di Chrétien de Troyes, a cui, peraltro, egli si ispirò e da cui trasse la struttura narrativa per la sua opera ma da cui, grazie all’originale concezione mistico-simbolica del Santo Calice, volle anche distaccarsi.
Nel momento in cui il simbolo archetipico del Santo Graal perde i connotati della coppa ed assume quelli di una pietra, egualmente dotata di poteri taumaturgici ed in grado di dispensare la vita eterna, esso subisce, come abbiamo visto, un processo identificativo con la pietra filosofale ed al contempo fornisce coerenza narrativa alla divagazione sulla vicenda del regno di Prete Gianni.
Nel Parsifal, difatti, Repanse, la figlia di re Amfortas, il leggendario "Re Pescatore", così chiamato poiché al pari di Gesù, secondo quanto tramandato dalla tradizione popolare, saziò una moltitudine di persone moltiplicando un singolo pesce, sposa il fratellastro di Parsifal, il saraceno Feirefiz. I due coniugi si recano in India, dove Repanse da alla luce Prete Gianni, il misterioso sacerdote cristiano che fondò ivi un potente regno.
Grazie a questa leggenda collaterale la "cerca" del Santo Graal si arricchisce di un’ulteriore diramazione, questa volta orientata verso l’India, dove alcuni studiosi postulano che il Santo Graal si trovi tuttora.
La possibile ubicazione del Graal in India, così lontana da tutte le tradizionali rotte narrative della "cerca" del calice, trae la sua giustificazione, secondo quanto ipotizzato da alcuni cacciatori del Graal, da una misconosciuta credenza popolare tuttora viva nel Kashmir indiano, credenza che costituisce il fondamento ideologico-religioso della setta mussulmana Ahmadiyya.
I proseliti di questo culto sono, difatti, fermamente convinti che Gesù sia sopravvissuto alla crocifissione, sia completamente guarito dalle ferite riportate durante la Passione e la crocifissione stessa e si sia diretto verso oriente assieme a Maria e Tommaso alla ricerca delle dieci tribù perdute di Israele. Dopo un lungo e periglioso viaggio attraverso l’Asia Centrale, Gesù sarebbe giunto finalmente nel Kashmir, ove si sarebbe stabilito e sarebbe morto per cause naturali in tarda età.
Nella capitale del Kashmir, Srinagar, è situato un tempio mussulmano, il Rozabal, all’interno del quale vi è una pietra sepolcrale la cui iscrizione attesterebbe che sotto di essa venne sepolto un individuo di nome Yus-Asaf, che in arabo significa Gesù!
Questa curiosa leggenda approda in Occidente grazie ad un libro pubblicato nel 1976 e scritto in spagnolo dal ricercatore Andreas Faber-Kaiser il quale cita, come fonte documentaria, gli studi condotti dal Prof. F.M. Hassain, Direttore dei Dipartimenti Statali di Storia del Kashmir.
Il Prof. Hassain sarebbe venuto a conoscenza di questa vicenda nel 1965 mentre si trovava a Leh, l’antica capitale del Ladakh, dopo aver esaminato alcuni diari lasciati nel 1890 da due missionari tedeschi i quali, a loro volta, avrebbero letto la traduzione, eseguita da un viaggiatore russo di nome Nikolai Notovich, di alcuni antichi manoscritti tibetani conservati nel monastero di Hemis; manoscritti che avrebbero narrato la storia del viaggio di Gesù e di come egli sarebbe giunto in India ed in Ladakh.
Una parte degli studiosi che ha preso in considerazione questa leggenda e che ritiene possa contenere un fondamento di verità storicoarcheologica ha azzardato l’ipotesi secondo cui Gesù abbia portato con sé la coppa nella quale bevve il vino durante l’Ultima Cena e che essa sia nascosta da qualche parte nel Kashmir o in Ladakh.
Un’altra ipotesi sull’ubicazione del nascondiglio del Santo Graal in Italia prende forma dalla credenza popolare secondo cui questa reliquia sia nascosta da qualche parte nel capoluogo piemontese e le indicazioni per scoprire il luogo dove si troverebbe sarebbero ermeticamente contenute nell’architettura stessa della Chiesa della Gran Madre di Dio, la cui costruzione venne decisa nel 1814 per onorare il ritorno dei Savoia a Torino dopo la caduta dell’impero napoleonico.
I lavori di costruzione della chiesa, eretta a imitazione del Pantheon sulle rive del Po, presso il Ponte Vittorio Emanuele, da Ferdinando Bonsignore (Torino, 1767 - ivi, 1843), iniziarono nel 1818 e terminarono nel 1831.
La statua della Fede, situata sul sagrato dell’edificio ed affiancata alla sua destra da un angelo, fornirebbe le indicazioni dettagliate per scoprire il nascondiglio del Graal. Con la mano destra la statua regge un libro aperto appoggiato sulla coscia destra mentre con la mano sinistra alza al cielo un calice. Secondo alcuni studiosi il calice simboleggerebbe il Santo Graal e la direzione dello sguardo della statua, assieme ad altri dettagli strutturali di difficile interpretazione simbolica, svelerebbero l’ubicazione della reliquia.
venerdì 14 gennaio 2011
IL MISTERO DI CORAL CASTLE
Oggi il brivido del mistero vuole raccontarvi la storia di Coral Castle;ciò che stiamo per raccontarvi è una Storia d’Amore. Una storia che sembra una favola, tanto è intrisa di magia. Ma tutto è incredibilmente vero.
E’ la storia di un uomo che ha aspettato tutta la vita la ragazza di cui si era innamorato.
Lui aveva 26 anni, veniva dalla Lettonia e si chiamava Edward Leedskalnin. Lei si chiamava Agnes Skuvst e aveva solo 16 anni. Lui era sicuro che lei avrebbe accettato di sposarlo. Perché per Lei, aveva deciso di costruire qualcosa di speciale. Qualcosa che non potesse dimenticare. Per Agnes Ed aveva deciso di costruire, da solo e con le sue stesse mani, un intero castello.
Con questa idea in testa Ed era partito dalla Lettonia alla ricerca del posto giusto, del luogo ideale per il suo sogno d’amore. Girò Europa, Canada e Stati Uniti ma solo quando giunse in Florida capì che aveva trovato il luogo adatto. Come fa a capirlo? Perché in Florida scopre un particolare tipo di pietra locale. Una pietra bellissima ed estremamente pesante. Da queste parti la chiamano Coral Stone, la pietra di Corallo: Ed farà allora per Agnes un Castello di pietra solido e pesantissimo che avrà un nome leggero: Coral Castle, appunto.
A poco meno di 50 km da Miami, proseguendo verso sud per l’Autostrada 1 in Florida, si può giungere a Homestead, una piccola cittadina nel cuore dello stato. In questo paese si trova uno dei più bizzarri ed incredibili edifici costruiti dall’uomo: il Coral Castle. Di primo acchito la struttura in sé non rivela nulla di incredibile; alcuni in essa vedono importanti reperti storici provenienti da ere ormai dimenticate e costruiti da antiche popolazioni per antichi culti, altri invece vedono una specie di bizzarra costruzione postmoderna “sfogo” di qualche eccentrico architetto. Entrambe le considerazioni invece risultano errateLa struttura ha visto la luce nei primi anni del novecento e l’artefice dell’edificio è un unico minuto grande genio; il suo nome è Edward Leedskalnin. Egli, con la sola forza delle sue braccia e con l’ausilio di pochi rudimentali attrezzi come carrucole, corde, martelli e scalpelli ha estratto e scolpito più di 1.100 tonnellate di roccia corallina. Ancora nessuno tra scienziati ed ingegneri che hanno studiato e tuttora studiano il Coral Castle è riuscito a dare una spiegazione fisica sul metodo di costruzione usato da Leedskalnin; l’unica affermazione sul metodo di costruzione proviene dal costruttore stesso il quale affermò: “Ho scoperto i segreti delle piramidi. Ho trovato come gli egizi e gli antichi costruttori in Perù, Yucatan e Asia, unicamente con attrezzi primitivi, trasportarono ed eressero blocchi di pietra pesanti parecchie tonnellate.”
Una delle sculture più importanti e degne di nota è lo stesso portale di accesso alla struttura: il “Nine ton Gate”. Esso è costituito da un unico blocco di pietra corallina largo 2 metri, alto 2 metri e 30 cm, profondo circa mezzo metro e dal peso approssimativo di appunto 9 tonnellate. Questo incredibile monolito dista dalle pareti del castello esattamente 6 mm da ambo i lati.
Molti ingegneri e scienziati si sono recati sul luogo per cercare di capire come Ed abbia potuto trovare il baricentro esatto dell’enorme blocco di pietra. Esso è talmente ben equilibrato nel suo asse che anche un bimbo lo avrebbe potuto aprire con la semplice pressione del suo dito. Dico “avrebbe” perché oggi non è più cosi. Nel 1986 infatti, un gruppo di ingegneri e di scienziati rimossero il portale per compiere degli studi su di esso. Per rimuoverlo furono utilizzati 6 uomini ed una gru da 50 t. Una volta rimosso il portale fu scoperto che Ed centrò e bilanciò il pezzo di roccia da 9 t perforando perfettamente dall’alto al basso i 2,30 m di portale facendo passare attraverso di esso un’asta di ferro che poggiava su di un vecchio cuscinetto di un camion. In questo modo il portale poteva aprirsi ruotando sul proprio asse. Oggi solo un perforatore ad alta velocità laser-controllato potrebbe fare lo stesso lavoro.
Il Portale, equipaggiato con i nuovi cuscinetti, con l’albero sostituito, nuova lubrificazione ed una rilegatura dei pezzi di pietra con un adesivo particolare, fu rimesso al suo posto il 23 luglio 1986. Il risultato fu un duro colpo per i ricercatori e per i gestori del castello: il monolito non era più perfettamente equilibrato e perse definitivamente la sua capacità di ruotare anche per ore con una semplice spinta.
Giunti all’interno del castello si può notare, sulla destra, un’imponente torre quadrata provvista di scalini esterni che portano all’unico ingresso della torre posto quasi alla sommità di essa. All’interno della torre si può vedere l’abitazione vera e propria di Leedskalnin. Al centro della stanza è collocata una branda di cuoio e tutto attorno, per terra e appesi alle pareti, si possono trovare utensili da lavoro come martelli, scalpelli, corde ecc… Questa enorme struttura è composta da circa 243 tonnellate di roccia intagliata in giganteschi blocchi di pietra corallina pesanti dalle 4 alle 9 tonnellate ciascuno. Solo il tetto della torre è costituito di una trentina di blocchi ognuno da una tonnellata. Lampade ad olio e pozzi d’acqua fresca fornivano tutto il necessario per vivere in questa straordinaria struttura. Scendendo dalla torre, tornando al cortile, si può notare un piccolo altare che poggia sulla parete a sud. Esso è costituito da due blocchi di pietra corallina e il suo significato è tuttora un mistero.
Volgendo lo sguardo verso il vasto cortile si possono notare alcune sedie scolpite nella roccia. Ma una in particolare giunge immediatamente allo sguardo: si tratta di una enorme sedia a dondolo dal peso di una tonnellata. Ed scolpì la sedia su di un enorme blocco di pietra sotto il quale applicò due assi di roccia a cui diede una forma ricurva. Anche se l’intero risultato potrebbe sembrare decisamente scomodo, in realtà è incredibilmente equilibrato e riposante.
Accanto ad essa si possono trovare alcune sedie non a dondolo che assomigliano ad un salottino orientato al sole del mattino e a mezzogiorno. Ma queste strutture non sono le uniche ad avere un orientamento ed un significato celeste.
Osservando meglio il castello infatti si possono notare molte sculture rappresentanti lune, soli e pianeti del sistema solare tutti orientati a precise fenomenologie planetarie. Inoltre, accanto alle mura del castello, si può ammirare un enorme monolito alto 7,5 metri e dal peso di 30 tonnellate. Quasi alla sommità dell’enorme blocco di pietra si trova un foro che lo trapassa da parte a parte e all’interno del suddetto foro si possono intravedere due aste di ferro che si incrociano perfettamente al centro di esso quasi a rappresentare un mirino. Questo “mirino” centra esattamente la stella polare.
Questo rudimentale utensile astronomico chiamato appunto “Polaris Telescope” aiutò Ed a tracciare un diagramma raffigurante il percorso della Terra attorno al Sole e gli permise di costruire una meridiana molto precisa.
Essa è perfettamente calibrata al solstizio d’inverno e al solstizio d’estate rispettivamente il 21 dicembre e il 21 giugno. Essa è stata costruita in modo da poter segnare l’ora compresa tra le 9 del mattino e le 16 ovvero l’arco di tempo in cui, a detta del costruttore, un uomo dovesse lavorare. La precisione della meridiana è stupefacente: la larghezza di un pollice umano rappresentava 5 minuti con uno scarto di errore massimo di 1 minuto. Ovviamente questo straordinario strumento è tarato in modo da segnare l’ora solare.
Accanto alla meridiana si può osservare un fontana chiamata “Moon Fountain” proprio per la sua particolare composizione. Essa infatti è scolpita in tre pezzi di roccia corallina dei quali quello più a sinistra rappresenta il primo quarto di luna mentre quello a destra della fontana rappresenta l’ultimo quarto. La luna piena è rappresentata dalla fontana stessa dal peso approssimativo di 23 tonnellate. I quarti di luna invece ne pesano 18 ciascuno. Ed usò la fontana come stagno per i pesci in cui si potevano trovare, oltre ad essi, anche varie piante come i giacinti d’acqua, sicuro che i visitatori si sarebbero fermati ad osservarlo. La pietra corallina è una roccia molto porosa per cui Ed fu costretto a “rinforzare” la fontana con del cemento. Al centro della fontana Ed pose una stella a sei punte e alimentò il flusso d’acqua con una vecchia pompa situata dietro la fontana. Oggi la fontana è usata come pozzo dei desideri e il denaro raccolto in questo modo è devoluto in beneficenza.
Sulla parete a nord poi sono raffigurati i pianeti di Saturno e di Marte. Quest’ultimo è costruito accanto ad una pianta di Palmetto che sta a significare la credenza da parte dell’autore all’esistenza di vita sul Pianeta Rosso.
Molte altre sculture rappresentanti sistemi astronomici sono presenti all’interno del castello come ad esempio il cosiddetto “bagno degli uccelli” formato da tre cerchi concentrici rispettivamente di 3,15 metri, 1,5 metri e 46 centimetri di diametro. Essi rappresentano le tre principali suddivisioni del nostro Sistema Solare individuando Mercurio, Venere, Terra e Marte nel cerchio più piccolo ed interno, Giove Saturno e Urano nel cerchio medio e Nettuno e Plutone nel cerchio più esterno.
Rimanendo sempre nel versante nord del complesso, si può ammirare l’imponente obelisco in cui Ed scolpì le date più importanti della costruzione come la data di inizio dei lavori e la data dello spostamento dell’intero complesso da Florida City a Homestead e la propria data e luogo di nascita. In cima all’obelisco grande quanto il più imponente obelisco di Stonehenge, Ed scolpì un buco con la forma della stella della Lettonia suo paese natale.
Questo obelisco alto più di 8 metri e dal peso di 30 tonnellate è piantato saldamente al suolo in un buco di quasi 2 metri di profondità.
Il lato romantico di Ed è messo in evidenza dal tavolo chiamato “Feast of Love”. Esso è un tavolo a forma di cuore dal peso di circa 2 tonnellate. Sempre pratico anche nel romanticismo Ed pensò che mantenere a lungo dei fiori al centro del tavolo fosse un’impresa ardua. Risolse il problema ponendo al centro del tavolo un vaso di Ixora. Questa pianta messa dalle sapienti mani di Leedskalnin restò al suo posto, viva e vegeta per oltre 50 anni.
Un altro famoso tavolo di Ed, il “Florida State Table” lungo 6 metri e circondato da 10 sedie, fu scolpito nell’esatta forma e proporzioni dello Stato. Scolpito nell’angolo sud-orientale del tavolo c’e un bacino colmo d’acqua che rappresenta il lago Okeechobee. Esso poteva essere usato come boccia per le dita, bagno degli uccelli o boccia per il punch.
Una curiosità: egli immaginò la sedia a capotavola essere per il governatore della Florida e lui e tutto il resto dei senatori si sarebbero seduti li attorno per decidere di alzare le tasse.
Altra costruzione dedicata alla genialità di Leedskalnin. Questa volta però non si tratta di una scultura in pietra corallina bensì di una pentola a pressione. Ed, utilizzando una carcassa di una vecchia automobile, costruì una specie di barbecue che all’occorrenza, una volta inserito il cibo al suo interno, poteva essere chiusa ermeticamente fungendo da pentola a pressione. Ed la pose in una specie di camino in pietra corallina e ancor oggi a volte i bambini in gita scolastica vengono invitati ad arrostire hot dog nella sua pentola.
Flotte di ingegneri edili e di scienziati vengono attratti ogni anno dal Coral Castle per cercare di capire in che modo sia stata costruita quest’opera apparentemente impossibile. Ad esempio a metà degli anni settanta un gruppo di ricercatori vollero provare ad imitare Leedskalnin. Scolpirono e scavarono un blocco di pietra corallina dal peso di 30 tonnellate equivalente al grande obelisco all’interno del castello. Per trasportare il blocco si servirono di un bulldozer: il mezzo non riuscì nemmeno a sollevarlo.
Molte affascinanti teorie vennero formulate negli anni per cercare di dare una spiegazione quantomeno plausibile alla straordinaria opera del piccolo lettone.
Molti ricercatori o meglio “para”ricercatori ipotizzano che Ed abbia in qualche modo scoperto il funzionamento delle “World Grid” ovvero uno schema invisibile di linee energetiche circondanti la terra che concentrano grosse quantità di energia tellurica nei punti di intersezione. Quindi Ed avrebbe sfruttato l’energia dell’intersezione di queste linee per riuscire a spostare questi enormi blocchi di pietra. A questo proposito Ray Stoner, il ricercatore scrittore del libro “The Enigma of Coral Castle”, afferma che Ed non spostò il castello per la minaccia dell’espansione di Florida City bensì perché un fatidico errore di calcolo intercettò il punto focale dell’intersezione delle linee a 16 km dal punto in cui si trovava realmente. Per questo motivo il castello fu mosso da Florida City a Homestead, proprio per fare in modo che le strutture del castello massimizzassero le energie telluriche dell’incrocio delle linee energetiche.
Bruce Cathe, nel suo “The Energy Grid” uno dei più importanti libri del settore, afferma che “il sito “Coral Castle”, è matematicamente relazionato alla griglia energetica terrestre, come lo sono le altre importanti strutture antiche. Leedskalnin non ha spostato il tutto per caso. Questa posizione geometrica era estremamente vicina a un punto che potrebbe essere ideale per lo sfruttamento del moto armonico gravitazionale. Il fatto che egli abbia avuto accesso alle conoscenze segrete è molto più evidente nella relazione del Coral Castle col sistema di griglie energetiche mondiale.”
Stoner, nel suo libro, fa presente che per costruire il Coral Castle erano necessarie alcune condizioni particolari come il fatto di trovarsi esattamente in un vortice energetico esso stesso allineato con determinati eventi astronomici sufficientemente precisi da stabilirne con esattezza le ricorrenze periodiche. Inoltre l’opera dovrebbe avere una forma precisa e addirittura il materiale con cui è costituito ha una sua rilevanza.
Questi prerequisiti ricordano molto le formule teoriche e gli esperimenti compiuti sull’energia delle piramidi a metà degli anni settanta dove gli angoli di incidenza (varianti di 15,2 gradi) e i materiali con cui erano costituite (granito cristallino e calcare) ne determinavano il successo. Nel libro “Using Pyramid Power” lo scrittore James Wyckoff scrive: “Gli antichi egizi sapevano che la forma e l’angolo delle piramidi contenevano una mistica forza energetica”.
Molte tradizioni da ogni parte del globo menzionano fatti in cui venivano fatte levitare pietre molto grosse. Dalla Gran Bretagna ci giunge la tradizione in cui Merlino, in uno dei suoi viaggi in Irlanda, scoprì Stonehenge e decise di smontarlo pietra dopo pietra e trasportò ogni masso facendolo “fluttuare in aria” fino alla pianura di Salisbury. Gli isolani di Ponape nel Pacifico del Sud ricordano lo spostamento di un grosso monolito di basalto (la colonna di Nan Mandol) ad opera di due maghi che lo fecero fluttuare in aria.
Ipotizzando che la testimonianza dei ragazzini che videro Leedskalnin in azione sia vera, ovvero che videro blocchi di pietra corallina “fluttuare in aria come aerostati”, si potrebbe considerare il fatto che egli abbia veramente riscoperto le antiche tecniche di costruzione perse durante i secoli le quali sfrutterebbero le energie gravitazionali terrestri.
Nella seconda metà dell’ottocento John Worrel Keely, inventò una serie di macchine per sollevare in aria gli oggetti e disintegrare la pietra. Keely utilizzava il suono prodotto da strumenti musicali e propagato attraverso un filo metallico. Molti i testimoni dei suoi esperimenti: da Jules Verne a Thomas Edison, tanto da spingere i grandi finanzieri dell’epoca a costituire un’azienda, la Motor Keely, impegnando ben cinque milioni di dollari nell’impresa.
Keely rifiutò però di rivelare la natura della forza “eterea” utilizzata e il conflitto con i finanziatori, lo spinse, in preda all’ira, a distruggere parte di quanto aveva scoperto e creato. Morì povero e dimenticato.
Madame Blawatsky però gli riservò un intero capitolo del suo diario: sosteneva che al signor Keely era stato concesso il permesso di oltrepassare un limite, che aveva inconsciamente scoperto la terribile forza siderale atlantidea, chiamata Miscela o Mash Mak. Una forza talmente distruttiva che in possesso di un moderno Attila ridurrebbe l’Europa al suo caotico primitivo stato in pochi giorni e senza testimoni in vita.
Molti monumenti antichi emettono vibrazioni a bassa frequenza: dagli obelischi di Karnak, alla Grande Piramide di Giza. I monoliti di Stonehenge amplificano i suoni prodotti durante le cerimonie e le rovine di Tihauanaco in Bolivia mostrano intagli nelle colonne simili a diapason. Chichen Itza è una città Maya in cui l’eco si riflette da un angolo all’altro senza che si riesca a capir come sia possibile. mentre suono prodotto alla base della Piramide del Mago ad Uxmal, riproduce alla sua sommità una specie di cinguettio…
Sarà solo un caso, ma i vicini di Ed affermavano proprio di sentire un suono continuo durante le notti incui lavorava: come una vibrazione molto molto bassa…
Testimoni oculari raccontano di aver conosciuto monaci tibetani in grado di sollevare e frantumare enormi blocchi di pietra, utilizzando il suono prodotto dai tamburi e dalle loro caratteristiche trombe lunghe tre metri. Parlano della leggendaria Levitazione Sonica. In tempi recenti è stato dimostrato che è possibile sollevare piccole pietre utilizzando vibrazioni sonore. Secondo i ricercatori non riconosciuti dalla scienza ufficiale, la forza di gravità attirerebbe le cariche positive e respingerebbe quelle negative, per una ragione ancora ignota. Gestendo la carica negativa della materia si potrebbe allora gestire la velocità, la direzione e la durata del “volo”.
A tal proposito Cathe asserisce che “in certe posizioni nel globo ci sono località dove le forze di gravità possono essere manipolate dalle applicazioni di certe armonie geometriche. Dove queste condizioni geometriche esistono, è evidentemente possibile per persone che hanno conoscenza nell’uso delle forze gravitazionali, costruire enormi edifici di materiale voluminoso. Stonehenge, le antiche piramidi, il tempio di Baalbek, e pure le piramidi in centro e sud America furono il risultato di una combinazione di conoscenze ed anomalie gravitazionali. Coral Castle, credo occupi una di queste posizioni.”
Nonostante la vasta quantità di studi e teorie formulate su questo complesso, nessuno è ancora riuscito a capire non solo i modi e i metodi di costruzione ma nemmeno il significato stesso dell’opera. A che scopo costruire questa enorme struttura? Per quale motivo Leedskalnin “sacrificò” vent’anni della sua vita nella progettazione e realizzazione dell’edificio? A queste e ad altre innumerevoli domande ancor oggi molti studiosi e ricercatori stanno cercando di dare una risposta.
Di certo un controverso e geniale scienziato che entrò in contatto con Ed era Nikola Tesla. Li accomuna l’avversione della Scienza ufficiale nell’interpretare i loro esperimenti e le lunghe notte solitarie passate dai due ricercatori a lavorare su esperimenti misteriosi e affascinanti in un America che non era la loro patria. Nato in Croazia, nel 1856, Nikola Tesla fu probabilmente uno dei più brillanti scienziati del Novecento. A lui si devono molte scoperte scientifiche, anche se non tutte gli vengono formalmente riconosciute: la corrente alternata, la prima stazione al mondo di energia idroelettrica, persino la radio.
La sua vita è stata una serie incredibile di trionfi scientifici, seguiti da un’altrettanta serie di personali disastri commerciali. Le poche opere che seppe portare a termine ancora oggi lasciano sbalorditi, come l’illuminazione a fluorescenza o la sismologia In una delle sue ultime lettere scrisse: “Provo continuamente un senso di profonda soddisfazione nell’apprendere che il mio sistema polifase viene usato in tutto il mondo per illuminare i momenti oscuri dell’esistenza, per migliorare la qualità della vita e per dare felicità alla gente in ogni angolo del mondo”. Il 7 Gennaio del 1943 Tesla morì come aveva vissuto: solo, povero e destinato all’oblio:l’FBI infatti requisì tutto il suo lavoro e lo secretò, dichiarandolo “TOP SECRET”
Oggi il Coral Castle attira turisti e curiosi da ogni parte del mondo rivelandosi come una delle opere architettoniche più straordinarie e misteriose del XX secolo.
Cronistoria
Edward Leedskalnin nacque a Riga in Lettonia il 10 agosto 1887.
Secondo la biografia di Joe Bullard, Waiting for Agnes, all’età di 26 anni Edward venne lasciato dalla fidanzata sedicenne Agnes il giorno prima delle nozze. In seguito alla profonda delusione cominciò a maturare l’idea di costruire un castello per fare colpo sull’amata. Iniziò così a viaggiare per l’Europa, il Canada e gli Stati Uniti in cerca di un luogo dove stabilirsi.
Dopo essere stato colpito dalla tubercolosi fu costretto a trasferirsi un una località dal clima mite, e giunse così in Florida nel 1918. Iniziò quindi la costruzione del suo castello nelle vicinanze di Florida City, dove aveva acquistato 10 acri di terreno.
Nel 1936 l’espansione edilizia portò alla costruzione di nuovi lotti edilizi nelle vicinanze della sua proprietà. Essendo Leedskalnin una persona molto riservata, decise di trasferirsi in un luogo più isolato. Passò così i successivi 10 anni a trasferire ciascuna pietra da Florida City alla località dove attualmente sorge Coral castle, ad una distanza di circa 16 km. In questa operazione fu aiutato da un amico che aveva un vecchio camion.
Nel dicembre 1951 Leedskalnin si ammalò. Incise su una roccia la frase “Going to the Hospital” (vado all’ospedale) e prese la corriera per la città (non aveva un’automobile, conduceva una vita molto semplice e si spostava in bicicletta). Morì pochi giorni dopo, il 7 dicembre. Gli era stato diagnosticato un tumore maligno allo stomaco.
Il castello fu ereditato da un nipote che nel 1953, poco prima della morte, lo donò ad una famiglia dell’Illinois.
Curiosità
Billy Idol scrisse ed incise il brano “Sweet Sixteen” e girò il video a Coral castle. Il brano è ispirato alla ragazza amata da Leedskalnin, Agnes Scuff, (a cui egli aveva dato l’appellativo “Sweet Sixteen”) che si ritiene essere il movente principale della costruzione della struttura.
Secondo Bullard, molti anni dopo la costruzione di Coral castle alcuni turisti Lettoni ne sentirono il racconto e contattarono Agnes per riferirle che Leedskalnin sperava ancora che lei capisse il suo amore. Avendo sentito la storia, Agnes rispose: “non ho voluto sposarlo quando ero sedicenne, e non voglio sposarlo ora”. Leedskalnin morì pochi anni dopo.
Pochi anni fa alcuni studiosi sono finalmente riusciti a rintracciare la “Sweet Sixteen”, trasferitasi in Olanda e ormai ottantatreenne. Dopo avergli a lungo parlato della meravigliosa opera di Ed e del suo amore ed averla invitata a visitare la meravigliosa costruzione lei rispose: “No grazie, non mi interessa”.
La storia di Coral Castle si chiude con un’ultima beffa del destino. Superati i 60 anni, Ed aveva dato segni di voler rivelare il segreto della sua costruzione. Sembra che avesse addirittura invitato alcuni amici stretti per il racconto finale. Era il 7 novembre del 1951. Ed andò a farsi controllare un piccolo dolore al Jackson Memorial Hospital. All’entrata del castello lasciò un cartello per gli amici con scritto: “Right Back”, torno subito. Ma Ed non torno né subito né mai più. Quel dolorino era un male al fegato che lo portò via per sempre, insieme al segreto del Castello di Corallo…
martedì 11 gennaio 2011
IL CASO FONTAINE(abduction)
E' una bufala? Il testimone è attendibile? Che interessi ha nel diffondere la sua testimonianza? Queste domande sono molto ricorrenti in ambito ufologico: non esiste caso celebre (vedi, per esempio, Coniugi Hill) nel quale il dubbio non sia stato in qualche modo protagonista.
Il caso di Frank Fontaine è stato al centro di molti dibattiti, ma alla fine la verità non è mai venuta a galla: per questo motivo abbiamo deciso di riproporre il caso, dopo anni che avrebbero dovuto essere chiarificanti riguardo le reali intenzioni dei tre testimoni. Passiamo però ai fatti.
La primissima mattina del 26 novembre 1979 (4:00 am) tre giovani amici (Frank Fontaine, Jean-Pierre Prevost e Salomon N'Diaye) sono stati protagonisti di un evento eccezionale classificato nella casistica delle abduction: il rapito, Frank Fontaine appunto, è un ragazzo disoccupato che diverrà famoso proprio per quanto raccontato sulla sua esperienza, ed è, forse, il personaggio meno credibile per i motivi che vedremo più avanti.
I tre giovani si erano dati appuntamento presso l'abitazione di Jean-Pierre, situata nella periferia di Parigi; si sarebbero recati ad un mercato che distava circa 40 chilometri, per vendere jeans e cercare di fare qualche soldo. Caricando le merci su una giardinetta "Ford Taunus" si accorgevano di una strana luce in lontananza: apparentemente, secondo i tre, si sarebbe trattato di un aereo in avaria e per questo motivo Jean-Pierre e Salomon corsero in casa a prendere una macchina fotografica.
Al loro ritorno videro l'impossibile: Frank, rimasto in macchina, era prigioniero di una nube che avvolgeva la macchina stessa, un qualcosa che cambiava forma fino alla sua scomparsa nel cielo. Intorno alle 4:30 Frank non c'era più.
I suoi amici raccontarono alla polizia l'accaduto e venne aperta un'inchiesta, che però non portò a grandi risultati: di rilevante solo la testimonianza di un tecnico d'auto (Ronald Varin), che assicurava di aver sentito rumori strani proprio all'ora della scomparsa. La notizia del caso si diffuse e in breve i fatti furono resi noti da tutti i mezzi di informazione.
Il 3 dicembre 1979 (4:30 am) Frank Fontaine ricomparve. Era confuso e stanco, aveva una lunga barba e in quello stato si presentò alla porta dell'amico Salomon. Entrato in casa questi gli spiegò l'accaduto (aiutandosi anche con i tanti giornali conservati) e i due si diressero immediatamente dalla famiglia Fontaine, con la quale discussero fino alle 7:30 sul da farsi. Tre ore, dalle 4:30 alle 7:30, di cui non si conosce alcun particolare preciso.
Come era da immaginarsi scoppiò il caos: l'ufologia era in fermento, gli psicologi insistevano per sottoporre Frank all'ipnosi regressiva, la polizia interrogava più volte i testimoni. A poco a poco Frank dichiarava di cominciare a ricordare qualcosa del suo rapimento. Continuarono per molto tempo gli interrogatori, i tre diedero l'impressione di essere sinceri ma alcuni particolari destarono sospetti:
- non accettarono mai di sottoporsi al test dell'ipnosi regressiva né, tantomeno, alla macchina della verità;
- una telefonata anonima era stata fatta ad una emittente radiotelevisiva per annunciare la ricomparsa di Frank Fontaine: la persona anonima, si scoprirà più avanti, era lo stesso Salomon;
- i testimoni avevano intenzione di scrivere un libro sulla loro esperienza: una fonte di guadagno, quindi o un’opportunità per salirt alla ribalta;
- avevano inoltre preteso dei soldi per farsi intervistare da un giornale (Paris Match);
- continuarono a ripetere schematicamente la loro storia senza mai scendere nei particolari.
D'altro canto i particolari a favore dei tre giovani sono molti di meno:
- quando dichiararono di aver guidato la macchina dovettero cessare la loro attività di venditori ambulanti (perché sprovvisti di patente di guida): questa professione era la loro maggior fonte di guadagno;
- sono apparsi sempre coerenti nelle loro testimonianze e non sono mai caduti in contraddizione;
- la loro testimonianza sembra poter trovare conferma nelle dichiarazioni di Ronald Varin, il tecnico d'auto che sentì strani rumori la sera del presunto rapimento.
In definitiva notiamo una netta predominanza di fattori che lasciano seri dubbi sulla veridicità della vicenda raccontata dai tre protagonisti. Il caso Fontaine, comunque, resta uno dei più conosciuti (e discussi) nell'ambito dei rapimenti. Lo abbiamo ripreso dopo 34 anni e non ci risulta che abbiano pubblicato alcun libro. Gli altri particolari sono ancora un mistero.
sabato 8 gennaio 2011
ATLANTIDE
Un' Età dell'ORO in cui l'Uomo viveva in perfetta armonia con il cosmo è sentita e tramandata da tutte le civiltà Antiche.L''ermetista Fulcanelli, ne "Le Dimore Filosofali" ne parla in questi termini:"Quest'isola misteriosa,sulla quale Platone ci ha lasciato un'enigmatica descrizione,è forse esistita?
Noi del il brivido del mistero dopo alcune constatazioni vogliano dare ragione a coloro che credono nella realtà di Atlantide.Infatti,dei sondaggi effettuati nell'Oceano Atlantico hanno permesso di riportare in superficie dei frammenti di lava la cui struttura prova irrefutabilmente ch'essa si è cristallizzata all'aria.Pare dunque che i vulcani espulsori di questa lava si elevassero su delle terre emerse non ancora inghiottite dalle acque...Noi,per quel che ci riguarda,non vediamo niente di impossibile nel fatto che l'Atlantide abbia potuto avere un posto importante tra le regioni abitate,nè in quello che la civiltà si sia sviluppata fino a raggiungere l'alto grado che Dio sembra abbia fissato come limite del progresso umano...Limite al di là del quale si manifestano i sintomi della decadenza e si accentua la caduta,quando la rovina non è accelerata dal subitaneo scoppio d'un flagello improvviso". Così ne parla Fulcanelli, menzionando Platone:ma cosa ci ha lasciato scritto questo grande Filosofo Greco,nato ad Atene, nel 428/27-347 a.C. e fondatore dell'Accademia più importante dell'Antichità? Egli scrisse, in tarda età, due dialoghi:"Timeo" e "Crizia",in cui discute sullo stato perfetto delle cose.A tal proposito, Crizia(il protagonista) ricorda di aver sentito una storia,un tempo. Una storia che gli aveva raccontato suo nonno novantenne, quando questi aveva l'eta' di dieci anni.
Il nonno l'aveva -a sua volta -sentita dal grande legislatore ateniese Solone(638-558 a.C.), che a sua volta l'aveva appresa in Egitto da un sapiente sacerdote di Sais.
Il sacerdote aveva descritto a Solone la bellezza di Atlantide, una terra costituita di fertili
praterie e di alte montagne che la difendevano dai venti freddi del Nord e
popolata da animali domestici e selvatici (tra cui l'elefante); il sottosuolo era ricco dei piu' pregiati metalli, tra cui l'oricalco (che in realta' é una
lega composta da rame e zinco).
Vi abbondavano le sorgenti d'acqua calda e fredda, le cui acque affluivano
poi in un grandioso bosco sacro per poi finire nei bacini del porto, dove si
trovavano moltissime navi protette da una cinta di mura dalla parte del mare
e provenienti dai luoghi piu' lontani.Vi erano palazzi e torri e un Tempio al dio Poseidone.
COME NACQUE ATLANTIDE?
Su questa montagna aveva la sua dimora uno degli uomini primordiali di quella terra,nato dal suolo;si chiamava Evenor e aveva una moglie chiamata Leucippe,ed essi avevano un'unica figlia,Cleito. La fanciulla era già donna quando il padre e la madre morirono;Poseidone si innamorò di lei ed ebbe rapporti con lei e,spezzando la terra,circondò la collina,sulla quale ella viveva,creando zone alternate di mare e di terra,le une concentriche alle altre;ve ne erano due di terra e tre d'acqua,circolari come se lavorate al tornio, avendo ciascuna la circonferenza equidistante in ogni punto dal centro,di modo che nessuno potesse giungere
all'isola,dato che ancora non esistevano navi e navigazione...".Possiamo immaginare l'isola come un'enorme
triplice cinta di terra e di acqua.
Platone continua, e ci informa ulteriormente:"...I sovrani di Atlantide anzitutto gettarono ponti sugli anelli di mare che circondavano l'antica metropoli,e fecero una strada che permetteva di entrare ed uscire dal Palazzo reale,che fin da principio eressero nella dimora del dio e dei loro antenati,e seguitarono ad abbellirlo di generazione in generazione,dato che ciascun re superava-all'apice della gloria-colui che l'aveva preceduto,sino a fare dell'edificio una meraviglia a vedersi,sia in ampiezza che in bellezza.E,partendo dal mare,scavarono un canale largo trecento piedi,profondo cento,lungo 50 stadi,che arrivava alla zona più esterna creando un varco dal mare fino a che essa divenne un porto;e il varco era abbastanza ampio da permettere l'entrata alle navi più grandi.Inoltre-a livello dei ponti-aprirono gli anelli di terra che separava gli anelli di mare,creando uno spazio sufficiente al passaggio di una trireme per volta da un anello all'altro e ricoprirono questi canali facendone una via sotterranea per le navi;infatti le rive furono innalzate di parecchio sopra il livello dell'acqua.Ora, la più grande delle zone-cui si poteva accedere dal mare tramite questo passaggio-aveva una larghezza di tre stadi e la zona di terra che veniva dopo era altrettanto larga;ma le due zone successive,l'una d'acqua e l'altra di terra,erano larghe due stadi e quella che circondava l'isola centrale era di uno stadio soltanto.L'isola su cui sorgeva il palazzo aveva un diametro di cinque stadi..."
L'immagine,ricostruita,di tale descrizione può far pensare ad una sorta di 'labirinto'in cui in marrone sono le aree di terra e in azzurro quelle di acqua.Espandendo le aree di terra e aggiungendo il grande canale che secondo Platone congiungeva gli anelli al mare,avremmo questa ricostruzione ipotetica:.Infine potremmo ricostruire l'isola come segue: in cui nella fascia A avremmo l'anello di terra principale;B=anello di terra minore;C=cittadella;D=porto interno;E=secondo porto;F=Grande porto;G=Canale per il mare;H=Quartiere mercantile.Se questa 'ricostruzione'dovesse corrispondere alla reale mappa di Atlantide,la grande distribuzione di questo SIMBOLO-che possiamo assimilare ad un LABIRINTO'-porterebbe alla considerazione che molte civiltà Antiche abbiano avuto legami con essa,se non addiritttura alla conclusione che gli eventuali 'scampati'alla grande catastrofe che la ingoiò, potrebbero essere successivamente approdati in vari continenti e aver 'fondato'una discendenza o aver portato delle conoscenze in quel luogo e fino a quel momento sconosciute dalle popolazioni locali.Il simbolo sarebbe dunque una riminescenza dell'antico splendore e dell'architettura 'sacra' della perduta Atlantide?
IN QUALE EPOCA E DOVE COLLOCARE ATLANTIDE?
Platone parla di 9.000 anni prima,rispetto al tempo in cui sta raccontando la storia.
"In quel tempo quel mare era
navigabile perche' aveva l'isola Atlantide davanti al passaggio
che voi chiamate Colonne d'Ercole*; era un'isola piu' grande che
la Libia e l'Asia** e serviva come passaggio alle altre isole a quelli
che viaggiavano, e da queste parti si poteva raggiungere il
continente, sulla riva opposta di questo mare.
Ora in codesta isola Atlantide, si affermo' un potente regno che
signoreggio' in tutta l'isola e in altre isole e in molte parti del
continente. Questo regno dalla nostra parte comprendeva la
Libia fino all'Egitto e l'Europa fino alla Tirrenia".
LA STRUTTURA SOCIALE E LA FINE DI ATLANTIDE
Dai racconti pervenutici attraverso Platone,e si noti con che meticolosità ce li descrive(un po' troppo precisi per potersi trattare di pura fantasia!),sappiamo che l'Impero o il Regno Atlantideo-nonostante l'apparente condizione edenica in cui viveva, partecipava a guerre, possedeva una flotta militare immensa e poteva contare su circa 1.200.000 soldati. Tra le altre, Atlantide sostenne una grande guerra contro Atene che riuscì a sconfiggerla.Una cosa sembra impossibile:la civiltà ateniese(di millenni posteriore al 9.000 a.C.) non può essere contemporanea a quella Atlantidea.Può esssere che una simile civiltà fosse sopravvissuta per tutto quel tempo e ne restassero dei 'brandelli'sparsi qua e là?
"... cerco' d'un solo balzo di asservire il vostro territorio, il
nostro e e tutti quelli che si trovano in questa parte del mondo.
E allora, o Solone, la potenza della vostra citta' fece risplendere
agli occhi tutto il suo eroismo e la sua forza. Poiche' essa l'ebbe
vinta su tutte le altre per la forza d'animo e per arte militare.
Prima a capo degli Elleni, poi sola, perche' abbandonata dagli
altri stati, Atene (...) vinse gli invasori, innalzo' trofei, preservo'
dalla schiavitu' quelli che non erano mai stati schiavi e (...) libero'
tutti gli altri popoli e noi stessi che abitiamo all'interno delle
colonne d'Ercole".
Intanto Zeus
"...vedendo la depravazione nel quale é caduto un popolo cosi'
nobile e decidendo di punirlo (...) aduna tutti gli déi (...) Avendoli
riuniti disse loro...".
Arriva una punizione,dunque, sottoforma di un terribile cataclisma, atto a far 'cadere'l'intera civiltà Atlantidea. Questa 'caduta'è vista esotericamente come la caduta dell'Uomo nella materialità,vinto dai suoi stessi istinti che lo hanno portato ad allontanrasi dalla propria spiritualità e dalla sua condizione divina,paradisiaca.Un paragone può essere visto con la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre.
CAUSE PROBABILI DELLA SCOMPARSA DI ATLANTIDE
Platone narra così l'evento che gli viene raccontato:"... vi furono degli spaventosi terremoti e dei cataclismi. Nello
spazio di un giorno e di una sola terribile notte, la vostra armata
fu inghiottita d'un sol colpo e anche (...) l'Atlantide si inabisso' nel
mare e scomparve.
Dovremmo prima accertare dove situare atlantide per poter fare delle ipotesi,comunque recenti indagini hanno permesso di capire che esisteva una grande civiltà nell'isola di Thera(Santorini),che poi scomparve a seguito di un immane cataclisma,nel 1400 a.C.circa.Come epoca siamo fuori,per collegarla ad Atlantide,a meno che si possa ammettere un errore di datazione da parte di Platone ma -d'altra parte- la sua estensione era troppo vasta per poter essere 'contenuta'nei limiti di questa area geografica dell'EGEO.Ma Platone fornisce alcune enigmatiche 'indicazioni':egli poneva l’Atlantide nell’Atlantico ma nello stesso tempo diceva che essa era governata da Poseidone e da Eracle, entrambi decisamente associati all’Egeo, non all’Atlantico. Ciò ha permesso agli studiosi di pensare che potrebbe esserci stata davvero un’isola egea che scomparve, e quest’isola avrebbe potuto essere Thera.Inoltre,da alcuni studi condotti sulle rovine dell'isola greca,si è potuto confrontare il profilo verticale basato su carte idrografiche con la ricostruzione che si ottiene seguendo le indicazioni di Platone e si è osservato il medesimo schema alterno di terra ed acqua.
L'eruzione vulcanica di Thera potrebbe essere collegata alla registrazione da parte Egiziana di un evento accaduto nello stesso periodo,in cui vi fu "Oscurità prolungata,inondazioni e tuoni".La scomparsa di Thera avrebbe portato alla scomparsa della civiltà minoica,la cui fine è ancora un mistero e aver favorito lo sviluppo di quella micenea.
Potrebbe essere stato l'impatto con un corpo celeste,tipo un meteorite,un asteroide o frammenti di cometa.
mercoledì 5 gennaio 2011
IL MISTERO DI SCIENCE REPORT(ANCORA COINCIDENZE?)
Riguardo a questo video penso non ci sia altro da aggiumgere.....sicuramente le coincidenze e la maniera in cui e stata impostata l'ultima puntata di Science Report fa pensare e poi perchè dopo aver mandato in onda questa trasmissione il programma e stato cancellato??le coincidenze sono tante .......perciò sicuramente il tutto fa si che l'opinione pubblica si ponga delle domande.....partendo dal presupposto che tutto e possibile..........a voi l'ardua sentenza!!!!!
lunedì 3 gennaio 2011
LA CAPPELLA DI ROSSLYN(TEMPLARI)
La prova che forse l'avventura dei Templari non si sia chiusa col rogo del loro ultimo Gran Maestro Jacques De Molay a Parigi (1314) è qui in Scozia, a Rosslyn, a soli 16 km da Edimburgo. Rosslyn e la sua famosa cappella sembrano fatte apposta per custodire nei secoli un importante segreto. Infatti in gaelico, l’antica lingua celtica usata dagli scozzesi, "Rosslyn" vorrebbe dire: "Antica conoscenza tramandata di generazione in generazione"
Rosslyn, una località già considerata sacra dai Celti, le sue pietre e le sue sculture sembrano davvero nascondere un'antico sapere e, forse, anche un tesoro. Di sicuro la cappella nasconde mille richiami a culti babilonesi ed egiziani, riferimenti celtici e scandinavi, mistica ebraica e cristiana. Un po' troppo per una semplice cappella di famiglia…
La Cappella di Rosslyn è stata costruita in soli quattro anni, tra il 1446 e il 1450, da un signore locale: il Conte William di St. Clair. William di St.Clair, figura chiave di questa storia, poiché sepolto nella cripta di questa cappella.
Come molti altri membri della famiglia dei St.Clair, William riposa nella cappella che fece costruire secondo un progetto preciso. I lavori iniziarono il 21 settembre 1446, nel giorno di San Matteo ma anche nel giorno dell'equinozio d’autunno, e la cappella venne inaugurata esattamente 4 anni dopo. William St. Clair era un nobile strettamente legato al mondo esoterico e – come dimostrano alcune incisioni in questa cripta – era anche legato al mondo della Massoneria di cui sembra fosse un alto esponente.
Non solo, i St. Clair occupano un posto importante nella storia dei Templari: un conte di St.Clair partecipò alla prima crociata, quella al termine della quale, nacquero i Templari; una Saint Clair sposò il fondatore dell'Ordine, Ugo di Payns nel 1101: Catherine di Saint Clair. Molti membri della famiglia furono in seguito cavalieri Templari. Ora la Massoneria divide con i Templari alcuni punti comuni che, guarda caso, il Conte William volle fissare a modo suo a Rosslyn
A Rosslyn è anche la tomba di Henry St.Clair, nonno di William. Alcuni vecchi manoscritti, oltre ad alcune raffigurazioni di aloe e mais (su un paio di colonne della cappella), piante sconosciute in Europa prima della scoperta dell'America, fanno pensare che Henry St. Clair abbia raggiunto, quasi un secolo prima di Cristoforo Colombo, le coste americane insieme al navigatore veneziano Antonio Zeno. Ma perché e con chi? Anche in questo caso ritornano i Templari sfuggiti alle persecuzioni del Papa e del Re di Francia riuscirono a fuggire soprattutto in Scozia.
Sappiamo che il tesoro dei Templari non venne mai ritrovato e c'è chi pensa che questo sia stato messo in salvo dagli stessi Templari grazie alla loro flotta, sparita anch'essa al momento del crollo. Quella flotta e il tesoro dei Templari raggiunsero forse la Scozia, un regno in lotta col Papa e quindi ospitale per i cavalieri fuggiaschi?
Di certo c'è che St. Clair e Zeno, con 12 navi, raggiunsero alla fine del '300 il Nord Ovest dell'attuale Canada, oggi chiamata non a caso "NUOVA SCOZIA" , stabilendo un presidio a New Poss, a poco più di 30 km da quell'Oak Island dove si pensa che sia stato sepolto il favoloso tesoro dei Templari.
Ma forse non tutte le ricchezze in possesso dei Templari sono state sepolte fuori dall'Europa. Qualcosa potrebbe essere anche qui, a Rosslyn. Risalendo dalla cripta la prima cosa che si incontra è forse il particolare più famoso di tutta la Cappella di Rosslyn: la "Colonna dell’Apprendista". E' questo forse l'esempio più evidente dell'ambiguità di questa costruzione che, formalmente cristiana, presenta numerosi riferimenti e simboli a culture e religioni che col cristianesimo nulla hanno a che fare: qui, ad esempio siamo di fronte ad una raffinata raffigurazione dell'Albero della Vita della tradizione biblica, raffigurazione integrata da alcuni riferimenti pagani come i draghi (figure sconosciute alla mitologia ebraico-cristiana) posti alla base. Dalle fauci fuoriescono viti rampicanti che si estendono a spirale per tutta la lunghezza della colonna. Alcuni vedono in questo un legame con la mitologia nordica, secondo la quale un drago rosicchia le radici dello Yggdrasil , il grande albero cosmico che sostiene l'Universo. Alcune teorie, inoltre, suggeriscono che questa colonna possa contenere uno scrigno di piombo in cui è nascosta la leggendaria coppa usata da Gesù in occasione dell’Ultima Cena, e successivamente usata per raccogliere il suo sangue, il Santo Graal.
Questa colonna è poi anche importante perché sembra legare, già dal proprio nome, il mito fondatore della Massoneria, con i Templari e con la storia della Cappella stessa.
Si dice che il disegno di questa colonna, il più complesso di tutta la Cappella, sia stato disegnato dallo stesso William Sinclair, il disegno era così complesso che il mastro scalpellino non sapeva come realizzarlo. Da qui la decisione di andare a Roma per studiare meglio: ma mentre il Maestro era fuori, uno dei suoi ragazzi di bottega decise di propria iniziativa di eseguire il lavoro, dopo aver ricevuto in sogno le dovute istruzioni. La colonna venne benissimo ma quando il Maestro tornò da Roma fu preso da un'attacco di gelosia e uccise il giovane. La storia ricorda molto la leggenda massonica della morte di Hiram Abiff, architetto del Tempio di Salomone, il Tempio da cui presero il nome i Templari a Gerusalemme dopo la prima crociata.
A rendere ancora più evidente il parallelo Massoneria-Templari-Rosslyn c'è poi il fatto che la Cappella, secondo i voleri di St. Clair, è costruita secondo la piante del Tempio di Erode, costruito al tempo di Gesù sullo stesso luogo in cui era sorto il Tempio di Re Salomone.
Tra i vari punti di contatto tra le due costruzioni ricordiamo che le due colonne dell'Apprendista e del Maestro, corrisponderebbero alle due colonne portanti dell’antico tempio, quelle di BOAZ (l'Apprendista) e JACHIM (il Maestro)
Al centro della navata, a metà tra le quarta colonna di destra e di sinistra, starebbe il centro di una ideale Stella sei punte. Un punto che nel tempio originario corrispondeva al punto in cui era custodita l’Arca dell’Alleanza.
E' forse questo quello che i moderni Templari hanno annunciato di voler cercare nel sottosuolo di Rosslyn grazie alle più moderne tecniche di ricerca tramite gli ultrasuoni? E' quanto ha dichiarato di voler fare lo scorso gennaio John Ritchie, Grande Araldo e portavoce dell’ordine dei Cavalieri Templari .
Vero o falsi che siano, i Templari di oggi possono comunque vantare un fatto indiscutibile. Le tracce di una presenza templare posteriore al 1307 sono forti qui in Scozia e nei dintorni di Rosslyn in particolare. Numerose tombe, chiese e cappelle, alcuni fatti d'arme (la vittoria di re Bruce contro gli inglesi nel 1314, ad esempio), le stesse croci templari presenti in quantità nella Cappella di Rosslyn…
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